Pronti via. E siamo già al disastro. La stagione non è neppure entrata nel vivo eppure l’Italia in Europa è già dimezzata. O quasi. Brutti, bruttisimi segnali che sono la spia che il nostro calcio è sempre più in rosso. Solo tre italiane in Champions (di cui solo una testa di serie),

 Roma eliminata dall’Europa League, Palermo stroncato dal modestissimo Thun nei preliminari, Udinese che cede il passo all’Arsenal, Napoli strapazzato a Barcellona. Insomma il quadro è a tinte fosche e come se non bastasse ci si è messo lo sciopero dei calciatori, una Federcalcio allo sbaraglio, presidenti sempre più in difficoltà, un tutti contro tutti che delinea un quadro degradante di quello che una volta era il paese sinonimo di grande calcio. Per fare un paragone, nella tanto bistrattata (ma solo da noi!) Europa League ci saranno solo due italiane, mentre Israele ne avrà ben tre. Insomma, siamo praticamente all’anno zero. Crisi, ritardi strutturali ed infrastrutturali, corruzione ci stanno presentando il conto. Salato. Si perchè la mancata qualificazione alla Champions tradotta in soldoni equivale ad un mancato introito di venti milioni per l’Udinese, mentre l’eliminazione della Roma è costata cinque milioni al club capitolino. Soldi che sono finiti nelle casse di altri, che forse a differenza nostra sanno impiegarli meglio. A partire dagli stadi. In Italia l’unico club che si è mosso con lungimiranza (anche se con abissale ritardo rispetto all’Europa) è stata la Juventus che si è dotato di uno stadio di proprietà. Tutte le altre continuano a giocare in impianti vecchi, inadeguati o addirittura fatiscenti (vedi il caso Cagliari e Napoli). Investimenti? Zero. De Laurentiis parla da anni di modello Barcellona ma per il momento di infrastrutture e centri sportivi non c’è nemmeno l’ombra. Moratti dopo anni di sperperi ha imboccato la via del fair-play finanziario, il Milan di Berlusconi dosa risorse con la parsimonia di una capofamiglia scozzese. E gli altri? Sopravvivono. Fedeli alla regola del tiraccampismo italico, ligi nell’osservare la parola d’ordine arrangiarsi, si trastullano tra diritti televisivi, costantemente a caccia dell’affare sudamericano (aumentati esponenzialmente gli affari sulla tratta Italia-Sudamerica), i presidenti differiscono investimenti, divorano allenatori, abbandonano i settori giovanili. Il tutto a discapito della qualità, della professionalità, della crescita. Se ci fosse un’agenzia internazionale per il rating calcistico l’Italia sarebbe declassata da un pezzo. Un campionato sempre più da esportazione il nostro, dove i migliori talenti vanno in fuga all’estero, persino in campionati (come quello russo o francese) considerati fino a pochi anni fa poco più che tornei dilettantistici e dove si affacciano alla ribalta centinaia di aspiranti Pastore, Eto’ò e Cavani pescati da improbabili talent-scout e procuratori in squadre spesso dai nomi impronunciabili e serviti sul piatto d’argento agli (ingenui?) presidenti delle nostre squadre. Che brutta fine per un paese, che per dirla come Churchill, un tempo perdeva le partite di calcio come se fossero guerre…

Fabio Carangio

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui