Associazione a delinquere finalizzata all’estorsione di posti di lavoro. Questo è il capo d’accusa che ha portato 35 appartenenti al movimento dei disoccupati organizzati di Napoli, prima a ricevere misure cautelari, poi revocate, e, successivamente, ad essere rinviati a giudizio dalla sezione Pe-nale del Tribunale di Napoli. “In pratica – esordisce Rosaria – ci accusano di aver rivendicato il diritto ad un lavoro e di aver por-tato avanti una battaglia nel settore ambientale anche al fianco dei vari comitati che negli anni so-no nati ad Acerra, Pianura, Terzigno ed in tutto il napoletano.” “Il tentativo è quello di distruggere un’ esperienza di lotta, quella dei disoccupati organizzati, che da decenni riesce a portare in piazza qualche migliaio di proletari sul tema del lavoro. L’ho dichiarato anche al giudice – ci dice sorridendo – ci accusano di associazione a delinquere ma, se fosse vero, saremmo proprio la schifezza delle associazioni considerando che in tanti anni di lotta mai nessuno di noi ha trovato un posto di lavoro.” Ma cosa chiedono oggi i disoccupati? Perché continuano a prendersela con la Regione? Per rispondere bisogna tornare al 2009, anno in cui, attraverso un’intesa inter-istituzionale, che vedeva la presenza di Comune, Regione, Provincia e Ministero del lavoro, fu varato lo stanziamen-to di 20 milioni di euro, 10 della Regione e 10 del Ministero. I soldi sarebbero serviti a coprire una prima fase di accompagnamento al reddito e, successivamente, permettere un effettivo inserimen-to lavorativo di alcune centinaia di disoccupati. Se i primi dieci milioni della Regione furono effettivamente utilizzati come forma di accompagna-mento al reddito, gli altri dieci restano ancora oggi nelle casse del Ministero che, già nel 2009, si rifiutò di sbloccarli finché la Regione Campania non avesse messo appunto un concreto piano per l’inserimento lavorativo dei B.r.o.s.. “Oggi – continua Rosaria – sembra, e il condizionale è d’obbligo, che la nuova giunta abbia volontà ed interesse a chiudere la questione e, tra l’altro, il Comune di Napoli ha messo a punto un piano secondo noi valido. Di chiacchiere ne abbiamo ascoltate molte negli anni, per cui ora non ci fidia-mo di nessuno. Aspettiamo i fatti e, intanto, andremo avanti con i nostri percorsi di lotta.” In un recente articolo pubblicato su OsservatorioRepressione.info, a firma di Luigi Romano, viene affrontata la questione dell’ accusa di associazione a delinquere ai B.r.o.s. da un punto di vista giu-ridico. Romano si pone allora alcune domande: “provare ad incidere sui tavoli istituzionali nei quali si discute di diritti essenziali dei soggetti, per far sentire la propria voce, è un reato? E se non lo è in via di principio quando lo diventa? Cercare di opporsi a un piano di disciplinamento della forza lavoro che si ritiene scellerato, a una ripartizione occupazionale che concretizza, nei fatti, da una parte salari di fame, dall’altra una diffusa precarietà, quando dovrebbe costituire una fattispecie criminale?” In effetti, non sarebbe certo la prima volta che lo Stato, attraverso l’espressione dei sui tre poteri, utilizza il diritto penale, opportunamente modellato ed interpretato, in modo tale da anticipare la soglia della rilevanza penale dell’azione, per colpire esperienze di lotta e dissenso. Non molto tempo fa, il famoso avvocato penalista Giuseppe Pelazza, nell’ambito di un dibattito su “Conflitto sociale e Diritto penale” ha dichiarato: “Tanto più in un ordinamento sono garantiti i diritti dei lavoratori e i diritti sociali, tanto meno chi detiene il potere ha bisogno di disporre di un apparato forte e capace di incidere nel corpo sociale. Quando invece i diritti vengono messi in discussione, vengo diminuiti e pressoché azzerati, a quel punto l’esigenza di controllo sociale con la repressio-ne penale, anche violenta, diventa fondamentale per i detentori del potere per continuare a mante-nere il loro controllo sull’intera società.
Luca Leva
Giulia Ambrosio