di Mario De Michele

“Le parole sono importanti”, grida Nanni Moretti in Palombella Rossa, uno dei suoi film più riusciti. Il regista-attore inveisce, in una mitica scena a bordo piscina, contro una giornalista prendendola a schiaffi. Quella stessa frase potrebbe essere rivolta, magari con toni più pacati e senza ricorrere alle mani, ad Antonello Velardi, giornalista “vero”. Che ha fatto recapitare una lettera a tutti i cittadini di Marcianise per informarli della sua disponibilità a candidarsi a sindaco. “Disprezzo la politica degli affari e delle “cofecchie” – si legge in un passo della missiva -, ho invece un’alta considerazione della politica con la P maiuscola ritenendo che essa sia la forma massima di impegno civile e sociale”. Concetto nobile, seppur banale, scontato e abusato. Sicuramente non vi è mai capitato di sentire dire a un candidato: “Faccio politica con la p minuscola per fare affari”. Ma prendiamo per buona la dichiarazione di intenti di Velardi. E proprio perché le “parole sono importanti” dovrebbe spiegare agli elettori di Marcianise come mai sta cercando in tutti i modi di accaparrarsi il simbolo del Pd nonostante l’ostilità di gran parte del circolo cittadino. Dovrebbe dire perché si fa forte dell’appoggio del commissario provinciale Franco Mirabelli e dei capi e capetti dell’AreaDem per ottenere per “forza” il sostegno di iscritti e militanti che non hanno posto un veto sulla persona, ma hanno sollevato una questione politica, questa sì con la P maiuscola: “Se vuoi candidarti con il Pd e nel centrosinistra partecipa alle primarie”. Vuole fare le “cofecchie” chi vuole essere calato dall’alto o chi invece invoca un metodo democratico per scegliere il candidato sindaco? Nella sua lettera Velardi scrive di inseguire un sogno. Parla di “rivoluzione dolce”. E lo fa riferendosi soprattutto ai giovani. Dimenticando però che, in occasione della sua tappa nell’assemblea Pd, spalleggiato da Mirabelli, proprio alcuni giovani dem marcianisani gli chiesero: “Ma se si fanno le primarie del centrosinistra ti candidi? E se le perdi sostieni ugualmente il Pd e il centrosinistra? In quella sede Velardi arrancò. Ora che le cose per lui si sono messe male (il gruppo pro-Abbate ha preteso e ottenuto il rispetto dello statuto del partito) è arrivata, a mezzo lettera, la risposta del giornalista. Lui si candida comunque. Senza primarie. E anche contro il Pd. Quel posto gli spetta. Punto. E basta. “Non sono entrato in politica, non sono un esponente politico”, rimarca nella missiva, come se fare politica sia una cosa di cui vergognarsi. E qui torniamo all’importanza delle parole. Se, come lui scrive, è lontano dalla politica perché si è affidato (e si affida ancora) ai pezzi grossi del Pd per ottenere una candidatura in pompa magna senza passare per le primarie? Sia chiaro, una parte del circolo dem è con Velardi. Ma non è questo in discussione. Quello che non si può tollerare, soprattutto da chi sventola il vessillo della legalità, è il tentativo, come se nulla fosse, di violare le regole interne di una comunità politica. I supporter di Dario Abbate non vogliono imporre il suo nome. Hanno chiesto la celebrazione delle primarie di coalizione, pur avendo i numeri in assemblea (il tesseramento 2015 è stato ratificato) per indicare l’ex segretario provinciale dem a candidato sindaco. Da statuto basta il 60% degli iscritti. E Abbate può contare su 173 tesserati su 247. Ecco, caro Velardi, c’è una parola “importante” che fa la differenza tra la politica con P maiuscola e quella con p minuscola: democrazia.

 

 

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