È tutto al femminile il team di ricercatrici italiane che allo Spallanzani di Roma, ha isolato il nuovo coronavirus. Tre donne, protagoniste dell’impresa che consentirà di sviluppare terapie ed un possibile vaccino. Maria Capobianchi la direttrice del laboratorio di Virologia dell’Inmi Spallanzani 67enne nata a Procida, laureata in scienze biologiche e specializzata in microbiologia, dal 2000 lavora allo Spallanzani. Concetta Castilletti, 56 anni, siciliana di Ragusa responsabile della Unità dei virus emergenti, specializzata in microbiologia e virologia. La giovane ricercatrice Francesca Colavita, 30 anni di Campobasso da 4 anni al lavoro nel laboratorio dopo diverse missioni in Sierra Leone per fronteggiare l’emergenza Ebola.

Un podio «rosa» che viene dal Mezzogiorno d’Italia che si unisce alla grande squadra dello Spallanzani che ha consentito oggi al ministro della Salute Roberto Speranza di dare il grande annuncio: «Abbiamo isolato il virus». Ed è tutto femminile anche il racconto di come si è arrivati al sequenziamento. «Abbiamo cullato il virus e abbiamo avuto anche un po’ di fortuna». Non si sente aria di protagonismo nelle parole di Concetta Castilletti, due figli grandi e una famiglia che la supporta da sempre, a partire dal marito.

«Sono abituati a questo genere di emergenze a casa mia – dice – anche perchè io non mi ricordo una vita diversa da questa. È sempre stato così». «Ho vissuto la grande emergenza della Sars, di Ebola, dell’influenza suina, della chikungunya, e insieme ai miei colleghi siamo stati spesso in Africa. È un lavoro che mi piace moltissimo e non potrei fare altro. Ma la vittoria è di tutto il team. Eravamo tutti impegnati, tutta la squadra. Abbiamo un laboratorio all’avanguardia, impegnato 24 ore su 24 in questo genere di emergenze». E poi Francesca Colavita, la più giovane del team, 30 anni, molisana, esperta nello studio in studio Ebola. Allo ‘Spallanzanì ha un contratto di collaborazione e lavora presso il laboratorio di Virologia e Biosicurezza. Ha partecipato anche a progetti in Sierra Leone nel laboratorio installato presso il ‘Princess Christian Maternity Hospital’ di Freetown.

 

 

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