di Mario Griffo*
Con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto “Cura Italia”), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 17.3.2020, edizione straordinaria, ed entrato immediatamente in vigore, il Governo ha disciplinato, tra l’altro, la materia dello svolgimento dell’attività giudiziaria nell’attuale contesto di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19. A tale provvedimento ha fatto seguito il d.l. 8 aprile 2020, n. 23, in vigore dal 9 aprile 2020. Il tema di fondo affrontato dai richiamati prodotti “normativi” attiene al rapporto tra diritto alla salute, inteso nella sua duplice dimensione individuale e collettiva ai sensi dell’art. 32 Cost., garanzie processuali ed efficienza dell’attività giudiziaria. La disciplina è affidata all’art. 83 con il quale (integrando e chiarendo quanto già previsto nel d.l. 8 marzo 2020, n. 11, i cui artt. 1 e 2 vengono peraltro contestualmente abrogati) si è provveduto a prorogare, a partire dal 9 marzo e fino alla data del 15 aprile 2020, ulteriormente prolungata poi all’11 maggio, il differimento delle udienze civili e penali e, soprattutto, la sospensione della generalità dei termini procedurali. Si premette subito che sospendere i termini di durata massima della custodia cautelare in carcere non solo non risulta utile ai fini della protezione della salute pubblica, ma finisce per comprimere ingiustificatamente sia i diritti difensivi dell’imputato, sia la tutela della sua salute. Si pensi, a quest’ultimo proposito, alla amplificazione delle possibilità di contrarre il virus che deriva dalla permanenza nell’istituto penitenziario[1]. Discorso a parte merita la sospensione del corso della prescrizione dalla quale si ritiene doveroso – per ragioni metodologiche – prendere le mosse. Agli interventi in disamina, comunque, fa da pendant una maggiore – almeno apparente – attenzione per le sorti del condannato figlia, probabilmente, del retaggio culturale risalente ad inizio anni ‘90 in ragione del quale la custodia cautelare ha (ancora) funzione “accertativa” (recte: confessoria).
LA PRESCRIZIONE, TRA IRRETROATTIVITÀ E VALORI SOVRAORDINATI
A mente dell’art. 83 d.l. n. 18 del 2020, come detto, i procedimenti penali sono sospesi, alla stregua del corso della prescrizione e dei termini di cui agli articoli 303 e 308 del codice di procedura penale. Trattasi di norma temporanea, avendo una precisa data di inizio e di cessazione della sua efficacia nel tempo. E, si sa, le disposizioni temporanee sono quelle che fin dalla loro emanazione hanno prefissato il termine in cui cesseranno di avere vigore. Oltre a essere temporanea, la previsione che interessa la sospensione dei termini di prescrizione è, evidentemente, di natura penale sostanziale, come chiarito più volte anche dalla Corte costituzionale[2]. In proposito, è indubbio che un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo la preclusione alla applicazione della pena, rientra nell’alveo del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. Da tanto consegue: ci si trova al cospetto di una disposizione legislativa temporanea per la quale, stante la previsione di cui al comma 5 dell’art. 2 c.p., vale il divieto di retroattività sancito dal comma 1 dell’art. 2 c.p. ed, a monte, dall’art. 25, comma 2, Cost. Le leggi temporanee, infatti, sono ispirate al rigido principio tempus regit actum quando riguardano reati commessi nel periodo della loro vigenza volendosi, in tal modo, garantire che la operatività delle stesse sia rapportata alla specificità della situazione cogente regolata. È indifferente, per le peculiarità del caso in trattazione, che leggi temporanee ed eccezionali statuiscano sanzioni più gravi ovvero prevedano trattamenti più miti poiché ci si trova al cospetto di una disposizione temporanea che, per lo più, interessa i termini di prescrizione. Giocoforza, stante il principio di irretroattività, il nuovo caso di sospensione della prescrizione introdotto dalla legge temporanea potrà riguardare solo i reati commessi nel periodo della sua vigenza, ossia fra il 17 marzo 2020 e l’11 maggio 2020, mentre sarà inapplicabile a tutti i “fatti” commessi prima del 17 marzo 2020, così come a quelli commessi dal 12 maggio 2020 in poi[3].
In ambito penale sostanziale il tempus regit actum, si sa, va sempre rapportato al dies delicti. Non a caso, la l. 23 giugno 2017, n. 103, così detta “riforma Orlando”, nel contemplare due nuovi casi di sospensione della prescrizione in costanza dei giudizi di impugnazione, ha espressamente stabilito che le disposizioni sopravvenute si applicano solo ai reati commessi a partire dal 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della legge medesima (art. 1, comma 15). Viepiù, stante il richiamato disposto dell’art. 25, comma 2, Cost., non si può conferire avallo ad una previsione (ancorché eccezionale) di sospensione tout court dei termini di prescrizione per reati già commessi, in assenza di qualsivoglia collegamento con la progressione del procedimento. Una previsione, così configurata, esulerebbe, persino, dalla “copertura legittimante” di cui all’art. 159, comma 1, c.p.p. Insomma, trattandosi di norme di diritto sostanziale sfavorevoli all’imputato, esse contrastano con il principio di irretroattività della norma penale deteriore sancito dall’art. 25, comma 2, Cost. e dall’art. 7 CEDU, avente portata generale e non limitata alle sole previsioni incriminatrici, per come riconosciuto operante anche in relazione alla disciplina della prescrizione. Né il ritenuto carattere eccezionale dell’attuale disciplina dell’emergenza avrebbe, in questo caso, carattere dirimente, perché la succitata deroga di cui all’art. 2, comma 5, c.p.p. esclude sì l’operatività del principio di retroattività e di ultrattività della legge favorevole ma non inibisce certo l’operatività del principio della irretroattività della legge sfavorevole. Ma, come accennato, a prescindere dalle previsioni dell’art. 2 c.p., generali e di rango ordinario, la portata costituzionale e convenzionale delle statuizioni contenute agli artt. 25, comma 2, Cost. e 7 CEDU rende inconferente qualsiasi norma di legge ordinaria, anche eccezionale, che prevede effetti sostanziali sfavorevoli con efficacia retroattiva. Da ciò l’ulteriore conferma all’assunto: ogni novella legislativa in tema di sospensione del processo e dei termini processuali può operare soltanto in relazione ai fatti-reato commessi in epoca successiva all’entrata in vigore della stessa.
LE PECULIARITÀ PROCEDIMENTALI DEI TERMINI DI CUSTODIA
Maggiormente problematico risulta il rinvio, ad opera del citato art. 83, ai termini di cui all’art. 304 c.p.p., regolante le cause di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare. Esso sembra potersi intendere come limitato al comma 6, che disciplina, in ottica pro libertate, i termini di durata massima della custodia cautelare nelle ipotesi in cui la stessa abbia subito una sospensione a norma dei commi precedenti. Alla luce di ciò, non ricadrebbero nel rinvio ex officio e nella sospensione dei termini procedurali di cui all’art. 83, commi 1 e 2, i procedimenti in cui sia stata applicata la custodia cautelare in carcere per i quali nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 15 aprile 2020 sono scaduti i termini di cui all’art. 304, comma 6, c.p.p. Inoltre, il comma 2 dell’art. 36 del d.l. 23/20 ha escluso dalla proroga del rinvio e della sospensione dei termini procedurali i procedimenti in cui i termini di cui all’art. 304 c.p.p. – richiamo anch’esso interpretabile come riferito al solo comma 6 – spirano nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020. Per effetto di tale previsione, a partire dal 16 aprile sono ricominciati a decorrere tutti i termini relativi ai procedimenti ove i termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 304, comma 6, c.p.p. scadano nel periodo compreso tra il 16 aprile e l’11 novembre 2020. La ratio, enunciata anche nella Relazione illustrativa al decreto-legge, risiede nella necessità di garantire l’efficienza giudiziaria, consentendo ai capi degli uffici di assumere le idonee misure organizzative ai fini della trattazione prioritaria dei procedimenti in questione. Ora, al di là dei profili connessi alla “moralità” della decisa sospensione, il richiamo al valore intertemporale e l’abbandono del tempus regit actum processuale può indurre a riflessioni non del tutto scontate. È indubbio: pena e coercizione cautelare rimangono ontologicamente distinte, perseguendo obiettivi e scopiinconciliabili. Tuttavia, l’art. 13, comma 1, Cost. individua nella libertà personale un diritto inviolabile, a prescindere dalle finalità della disciplina su di esso incidente; invece, la ultrattività del regime più favorevole vigente al momento del fatto costituisce una delle garanzie con le quali l’art. 25, comma 2, Cost. palesa la “inviolabilità” proclamata, per l’appunto, dall’art. 13 Cost., senza distinzioni di carattere ‘sistematico’ o, comunque, attinenti il connotato, sostanziale o processuale, delle previsioni coinvolte.
Per tale via, ragionando sull’humus del “diritto soggettivo” suscettivo di limitazione, risalta, inevitabilmente, la finalità (processuale e/o sanzionatoria) della restrizione; in tal modo coniugandosi la distinzione fra custodia preventiva e pena, con l’estensione alla prima ed alle disposizioni di legge che la regolano della garanzia della irretroattività. Insomma, ragionando sul “bene tutelato” e sulla “presunzione di non colpevolezza” (quale regola di trattamento e regola di giudizio)[4], la irretroattività assume connotazioni diverse, nei settori del diritto sostanziale e della procedura penale, con specifico riferimento al risalto, per quest’ultima, del valore supremo della libertà personale. D’altro canto, la dimensione attribuita in sede europea alla nozione di “materia penale” non vincola quanto alle “etichettature” fornite dal diritto interno, allignando, essa, sulla reale natura degli istituti: il loro carattere afflittivo ovvero lo scopo da essi perseguito. In siffatti termini, la vigenza dell’art. 7 § 1 CEDU consente di assimilare – per evidenti ragioni di favor – la custodia applicata o comunque in corso dopo il giudizio di primo grado alla sanzione penale, con conseguente impossibilità di prorogarne i termini se non con legge entrata in vigore prima del tempus commissi delicti. A favore della conclusione circa la non operatività della sospensione dei termini custodiali depongono anche altre considerazioni. I termini di durata delle misure cautelari sono un qualcosa di eterogeneo rispetto al procedimento, ne stanno al di fuori e corrono parallelamente ad esso, non incidendo sulla tempistica dei relativi atti e non partecipando al suo evolversi. Ergo, appare non attagliabile ad essi il riferimento operato dal comma 2 dell’art. 83 a mo’ di «termini per il compimento di qualsiasi atto». La puntualizzazione non è puramente formale. In linea meramente generale, un atto “procedimentale” può (o non può) essere compiuto a seconda della connotazione e della durata del termine di volta in volta predeterminato legislativamente: la esistenza stessa dell’atto è condizionata dal termine[5].
Tutto questo non vale per i termini cautelari, per i quali il rapporto è ribaltato. È l’atto, in tal caso, a condizionare la esistenza del termine, essendo le scansioni e le progressioni procedimentali ad originare il decorso dello stesso ed a determinarne la relativa durata. Il che ha ovvie implicazioni sulle ipotesi di sospensione previste dall’art. 83 in esame. Si vuole dire, in altri termini, che le scansioni cautelari non possono considerarsi automaticamente sospese nel periodo pandemico per il solo fatto di pendere durante lo stesso. Soltanto se (e quando) una sospensione viene disposta all’interno del procedimento, invero, risalta il rapporto di “propedeuticità” intercorrente tra la stessa e la conseguente sospensione dei termini cautelari. Si ponga mente, a titolo esemplificativo, alla ipotesi in cui il rinvio di un processo, a cagione della mancata richiesta di celebrazione dell’udienza da parte dell’interessato, sia disposto “fuori udienza”. È chiaro che in tale evenienza è da ricusare l’dea della “automatica” sospensione dei termini di cautela, anche perché è al momento del rinvio che il giudice, nello stabilirne la portata, pondera la durata della sospensione dei termini per come contemplata dalla legge vigente in quello specifico momento. E la soluzione proposta non pare infirmata dall’assunto, di matrice giurisprudenziale[6], in ragione del quale in materia cautelare lo ius superveniens sarebbe in grado di incidere sul regime dei termini di fase allorché la stessa non sia conclusa. Non ci si trova al cospetto, infatti, di un novum ius modificatore – in via diretta o indiretta – della disciplina della determinazione legale dei termini cautelari. Nel caso di specie, viceversa, risaltano contingenze momentanee incidenti sulla concreta durata di una misura cautelare in atto, ferma ed immutata restando l’astratta determinazione legale dei relativi termini massimi, con cui la stessa deve poi confrontarsi. È indubbio, in ogni caso, che rimangono intangibili i rapporti esauritisi ante-emergenza. Di tal che, se alla data del 17 marzo si è materializzato l’integrale decorso dei termini in disamina, si è prodotto un effetto irreversibile che giammai può essere posto in discussione da una possibile (e fantomatica) applicazione retroattiva della sospensione di cui al d.l. n.18/2020.
*Avvocato e Professore di Diritto processuale penale Università degli Studi del Sannio
(Articolo pubblicato su “Diritto di Difesa”, rivista dell’Unione delle Camere Penali Italiane)
[1] Picaro, Il virus nel processo penale. Tutela della salute, garanzie processuali ed efficienza della attività giudiziaria nei d.l. n. 18 e n. 23 del 2020, in Dir. pen. cont. (web), 17 aprile 2020.
[2] V., tra le altre, sent. n. 348 e 349 del 2007.
[3] Mazza, Sospensioni di primavera: prescrizione e custodia cautelare al tempo della pandemia, in Arch. pen., n. 1, 2020, p. 6 ss.
[4] Riccio, Ideologie e modelli del processo penale, Napoli, 1995, 16 ss.
[5] Malagnino, Sospensione dei termini nel procedimento penale in pandemia da Covid-19, in Giurisprudenza penale, 18 aprile 2020. [6] Tra le altre, Cass., Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 31839.