Un’accusa “pesantissima”, che “delegittima” la magistratura e la colpisce “al cuore”, quella rivolta a una parte dei giudici di “schierarsi faziosamente nello scontro politico”. Dopo due giorni di silenzio l’Anm reagisce con durezza all’attacco del governo (suscitando la “sorpresa” del governo) sulle vicende giudiziarie che hanno coinvolto la ministra Daniela Santanchè e il sottosegretario Andrea Delmastro. Chiede rispetto per l’indipendenza dei giudici e per la separazione dei poteri e rivendica il “dovere” di far sentire la propria voce sulle riforme che riguardano la giustizia e che non possono essere brandite come “misure punitive”, come sembra fare la maggioranza premendo l’acceleratore sulla separazione delle carriere. “Non vogliamo alimentare lo scontro, lo stiamo subendo” assicura il leader delle toghe Giuseppe Santalucia, spiegando che i magistrati non possono però tacere “quando si tratta di difendere la Costituzione”. Ma il clima resta teso. Con più di un esponente della maggioranza che torna ad accusare i magistrati di interferenza nelle vicende della politica e l’opposizione invece che imputa a Giorgia Meloni di essere garantista solo con i suoi amici (come nota la responsabile Giustizia del Pd Debora Seracchiani) e di intimidire le toghe (come sostiene Angelo Bonelli di Avs). “Non è più l’Anm a essere accusata di interferenza, ma la magistratura nell’esercizio delle sue funzioni”, dice in un applaudito intervento al Comitato direttivo dell’Anm il presidente Santalucia che definisce l’attacco arrivato da Palazzo Chigi “ancora più insidioso, perché lasciato a fonti anonime. Avremmo gradito una smentita. E invece l’indomani due note dell’ufficio stampa del ministero della Giustizia sono intervenute sugli stessi fatti”. Santalucia entra nel merito di quelle prese di posizione. Per dire che sul caso Santanchè, che ha appreso dalla stampa di essere indagata, via Arenula si sarebbe dovuta comportare in modo opposto: “non manifestare sconcerto”, e unirsi “alle voci di delegittimazione” della magistratura, ma esercitando i poteri ispettivi propri del ministro, con “un’indagine immediata”. “Allarmante” anche la nota del ministero sul caso Delmastro, per il quale il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta dopo che la procura aveva chiesto l’archiviazione: non si può stigmatizzare come “abnormità il potere di controllo del giudice sul pm, non si può consegnare all’opinione pubblica l’idea che il magistrato abbia esercitato in maniera anomala un potere-dovere, espressione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale”, avverte il leader delle toghe. E un documento approvato all’unanimità dal Cdc definisce le censure al giudice “incomprensibili” anche alla luce di una contraddizione: “prima si auspica la separazione delle carriere perché i giudici sarebbero subalterni ai pubblici ministeri, poi si insorge quando un giudice si discosta dalle loro richieste”. Mentre un altro testo, anche questo passato con il via libera di tutte le correnti, chiede alla maggioranza di rimeditare le troppe criticità della riforma Nordio, a partire dall’abolizione dell’abuso d’ufficio che esporrà l’Italia al rischio di una procedura di infrazione. Il dialogo però sembra difficile. La vicenda Delmastro “riapre il dramma dell’uso politico della giustizia. È la dimostrazione che, istigati dai capi delle toghe rosse, ampi settori della magistratura vogliono contestare l’autonomia del potere esecutivo “, attacca Maurizio Gasparri (Fi). “E’ necessario il rispetto dei poteri – replica all’Anm Alfredo Antoniozzi vice capogruppo di FdI alla Camera – La Costituzione è la bussola ma può essere modificata, appunto, dal Parlamento. Anche Italia Viva critica le toghe, mentre per Enrico Costa di Azione “siamo alla sagra delle invasioni di campo”.