NAPOLI – “Un detenuto in barella in corsia? Quando è successo non potevamo fare diversamente. Nel nostro ospedale c’é un reparto detenuti dove si fanno solo ricoveri di elezione, ovvero quelli programmati, ma nei reparti di urgenza arrivano tante persone, compresi i detenuti.

E il primo obiettivo è di curarle, sistemandole dove si può”. Per Franco Paradiso, direttore sanitario di presidio dell’ospedale ‘Cardarelli’ di Napoli, il più grande della Campania, la notizia riportata oggi dal ‘Corriere del Mezzogiorno’ sul ricovero di un detenuto in corsia, vigilato da tre agenti della polizia penitenziaria con il mitra in spalla o con la pistola nella fondina, sta suscitando “un ingiustificato clamore”. “Innanzitutto va detto che i detenuti sono pazienti come tutti quanti gli altri – aggiunge Paradiso – ovviamente se arrivano in emergenza, e non ci sono posti, sono sistemati in barella fino a quando non viene trovata una alternativa che possa soddisfare ogni esigenza, ad iniziare dalla privacy di tutti”. “La vigilanza armata? Non è decisa dal singolo agente della polizia penitenziaria addetto al servizio – spiega Eugenio Sarno, segretario della Uil Penitenziari – ma si seguono precisi protocolli. In alcuni casi si è fatta vigilanza anche in sala operatoria”. Ma per Sarno il problema è un altro: “E’ quello di rendere più capienti i reparti destinati alla detenzione”. Una scelta che dovrebbero fare le singole Aziende sanitarie locali e le Aziende ospedaliere. “E lo si deve fare per tre motivi. Il primo è quello di garantire la privacy delle stesse persone in stato di detenzione – conclude Sarno – Il secondo è di evitare una certa situazione di imbarazzo tra gli altri pazienti. Il terzo – e non ultimo per importanza – è di scongiurare che sia messa a rischio la sicurezza. E di tutti”.

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