di Nicola del Piano
“Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini” afferma il costituzionalista Stefano Rodotà. Le modifiche alla Carta costituzionale richiedono attenzione e partecipazione di tutti i cittadini di uno stesso Stato. E’ qualcosa che ci riguarda e innanzi alla quale non è ammissibile distogliere lo sguardo. Eppure, davanti all’attuale e serissima fase costituente, vi è nel Paese un clima di superficialità ed indifferenza.
E’ stato già modificato l’art. 81, con l’introduzione del pareggio di bilancio e il Senato ha da poco approvato, in prima deliberazione, una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo e ruolo del Presidente della Repubblica. Non si tratta di “ordinaria amministrazione”, ma di sostanziali modifiche, tra le altre alla forma di Stato e di governo, ove l’emergenza economica e sociale funge da lasciapassare per ogni manovra, animando un clima di incomprensibile impazienza, confusionario e cieco, che mal si addice a mutamenti così fondamentali per la vita dello Stato.
L’economia e il debito che entrano e trasformano le Carte fondamentali e la nostra Costituzione, formandola a propria immagine. Fuoriesce una Carta irrigidita, con insufficienti margini di manovra per i governi e con una imposizione di politiche economiche restrittive, con ulteriori e maggiori difficoltà per l’attuazione di politiche sociali, previste dalla stessa Costituzione.
Le premesse del testo in esame ora alla Camera, e da poco approvato in prima deliberazione dal Senato, muovono da una inesattezza, ovvero la presunta debolezza del Presidente del Consiglio, tralasciando la questione vera del bicameralismo, senza andare ad operare, quindi, una seria e necessaria differenziazione del ruolo delle Camere. Il testo, poi, impoverisce ed umilia il ruolo del Presidente della Repubblica, spostando il potere nel Presidente del Consiglio e nel governo, anche per quel che concerne il procedimento legislativo. Potere che appare così essere ed andare oltre misura, riponendo altrove, e sicuramente fuori dallo Stato, l’equilibrio tra i poteri.
Tutto ciò avviene, è bene ricordarlo, sulla base di decisioni prese da un Parlamento di non eletti, ovvero di soggetti nominati e non certo scelti dai cittadini. Scandalo, vergogna e naturale conseguenza a tutto ciò, è proprio l’assenza di una genuina discussione pubblica su questi temi, con la latitanza, ancora una volta, dei partiti politici.
Tale ferita, sempre più grande e dolorosa, e che resta tutt’ora aperta nel Paese, richiederebbe quantomeno di intervenire con urgenza, con una seria legge elettorale che restituisca dignità al popolo italiano e ai principi democratici e consenta quindi serenamente di addivenire a riforme costituzionali.
Codeste manovre, inoltre, non incidono solo sulla parte seconda della Costituzione, come si vuol far credere, ma vanno a colpire, per la natura stessa degli interventi, proprio quei principi di libertà e democrazia che costituiscono le fondamenta del nostro Stato. E a nulla sono valsi, in tal senso, i richiami di studiosi autorevoli quali Valerio Onida, presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti.
A questo osannato “clima di emergenza” e alle sue nuvole che tutto giustificano e tutto muovono, occorre, pertanto, opporsi con forza. Prima che sia troppo tardi.