Ricorrere alla conciliazione anziché alla giustizia ordinaria per risolvere una controversia civile o commerciale non può essere un obbligo. Resta una facoltà. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con una decisione che assesta un duro colpo al meccanismo della media-conciliazione, istituito per snellire in carico processuale in sede civile; e dà ragione al principale rilievo mosso dalle associazioni dell’avvocatura quando a fine 2010 hanno sollevato con un ricorso al Tar la questione finita poi all’esame della Consulta.
“Non posso che prenderne atto”, ha commentato a caldo il ministro della Giustizia Paola Severino, facendo notare però che “gli istituti funzionano nel tempo, con la pratica, e questo stava iniziando a funzionare”. “Rimane comunque quella facoltativa, vuol dire che lavoreremo sugli incentivi”, ha aggiunto. Accoglie “positivamente” la sentenza il presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli, Pdl, ricordando, insieme al capogruppo Pd, Silvia Della Monica, il “parere nettamente contrario” espresso a suo tempo dalla commissione proprio sul punto sanzionato ora dalla Consulta. Istituita quando ministro era Angelino Alfano con il decreto legislativo 28 del 4 marzo 2010, la mediazione mira a predisporre una corsia a parte per una serie di diatribe affidandole a un mediatore, incaricato di trovare un accordo tra le parti: si va dalle liti di condominio alle successioni ereditarie, dalla locazione all’affitto di aziende, dal risarcimento danni derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, alla diffamazione a mezzo stampa, ai contratti assicurativi, bancari e finanziari. I mediatori devono essere soggetti riconosciuti e abilitati iscritti a un apposito albo del ministero. Per le parti in causa ci sono dei costi stabiliti da un decreto ministeriale del 2010 in base al valore della lite, che vanno da un minimo di 65 a un massimo di 9.200 euro. Il punto è che stabilendo una mediazione obbligatoria in questo genere di controversie, si è prodotto un eccesso di delega, secondo la Consulta: in altre parole, il governo è andato oltre il perimetro fissato dal Parlamento nella legge-delega con cui diede mandato al governo perché legiferasse in quest’ambito. La Corte Costituzionale, quindi, non ha bocciato in toto l’impianto della mediazione, ma ne ha fatto decadere la sola obbligatorietà. Quanto basta per far esultare le organizzazioni degli avvocati, che non hanno mai gradito l’ingresso sulla scena di nuove figure professionali e hanno considerato la mediazione una “privatizzazione” della giustizia. “Obbligatorietà e costi alti costituivano un meccanismo perverso: servono sistemi moderni di soluzione alternative alle controversie, non dissimulate privatizzazioni dei diritti”, commenta, Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, tra i promotori dei ricorsi contro la mediazione. “Soddisfatto” il Consiglio nazionale forense, che ha giudicato “anomalo” il “passaggio obbligatorio dalla mediazione come condizione, per di più onerosa, per adire il giudice”, perché rende “oltremodo difficoltoso l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini”. “Ha vinto lo Stato di diritto”, aggiunge Ester Perifano, segretario generale dell’Associazione nazionale forense, secondo cui la Consulta “ha bocciato una legge già morta perché contro i cittadini, oltre che troppo costosa per funzionare”.