NAPOLI – Cosa succede quando un uomo si autoreclude nelle comodità asfittiche della propria casa? Può accadere che l’isolamento conceda ai suoi occhi la curiosità morbosa di osservare, celatamente, la vita degli inquilini delle finestre di fronte. Accade, pure, che egli rischi di scoprire l’istinto assassino del mondo e di esserne a sua volta scoperto.

 

E’ da qui che, attraverso un’originale rielaborazione, prende vita la nuova creazione scenica di Claudio Di Palma, che firma l’adattamento e la regia deLa finestra sul cortile, al debutto, in prima nazionale, martedì 12 marzo 2013 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 17), al Teatro Nuovo di Napoli.

 

Presentato da Vesuvioteatro e liberamente ispirato ai racconti di Cornell Woolrich e Georges Simenon, l’allestimento vede la presenza in scena, oltre allo stesso Di Palma, di Andrea De Goyzueta, con la partecipazione in video di Sara MissagliaFabrizio Botta, Davide Cannata, Maria Rosaria Compagnone, Iole D’Antonio, Walter Del Basso, Adriana Follieri, Rosa Langella, Gennaro Lupone, Massimo Renzetti, Fernando Tancredi, Anastasia Veneziano, Roberta Verdile.

Ne La finestra sul cortile di Claudio Di Palma, le situazioni e le ambientazioni dell’omonimo racconto sono radicalmente rielaborate. Ispirandosi a romanzi in cui l’ossessione voyeristica è protagonista, affida al rapporto tra il morboso spiare di un uomo solo e le virtualità proiettive del suo personal computer la dinamica evolutiva del giallo originario.

Sguardi rubati, occhi nascosti, inattese focalizzazioni scandiscono i tempi drammaturgici ed esaltano il carattere reclusorio della vita del protagonista che, sospesa tra l’immaginazione e l’ossessione, cerca una pacificazione, una soluzione, una prova documentale.

Il luogo in cui si svolge la vicenda non è assolutamente realistico, e il suo minimalismo risponde al gusto della sintesi geometrica dell’hi-tech, per esasperare una forma di perverso isolamento in cui l’uomo si costringe.

Lo spazio scenico fa riferimento a quell’immaginario “fantascientifico” che negli anni settanta fece sembrare prossima un’estetica tecnologica, in grado di trasformare le nostre abitazioni in ambienti sterili, semivuoti, simboli di una radicale alienazione psicologica e fisica dell’uomo.

Il protagonista non ha un nome. E’ costretto nella reclusione di un ambiente altamente tecnologico più da una forma di ossessione che da un infortunio fisico. Nella conseguente incapacità/impossibilità di far visita agli altri di persona, sceglie di sistemare videocamere che inquadrino le finestre di fronte ed elabora un programma in grado di collegare il suo computer con una serie di webcam, aperte come finestre nelle case degli altri.

La scena, in definitiva, identifica più un tempo che uno spazio, ed è quel tempo in cui il rapporto pluridimensionale col mondo si “riduce” nelle moltiplicazioni appena virtuali che lo schermo rimanda. E’ quel tempo in cui si stabilisce un rapporto creativo, ma spesso perfidamente intimo, con la sola luce irreale di un computer.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui