NAPOLI – Siamo a Napoli, catapultati in una periferia, quasi ai margini della realtà, e qui si consuma la complessa e travolgente vicenda di 12 Baci sulla bocca, che approda, mercoledì 24 aprile 2013 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 28) al Teatro Nuovo di Napoli. Scritto da Mario Gelardi, drammaturgo conosciuto per aver portato in teatro Gomorra, e diretto da Giuseppe Miale Di Mauro, l’allestimento, presentato da Compagnia Gli Ipocriti, è interpretato da Francesco Di Leva, Stefano Meglio e Andrea Vellotti.

La periferia napoletana degli anni ‘70 fa da sfondo a 12 baci sulla bocca, che racconta l’incontro-scontro tra Emilio, lavapiatti dai modi delicati e Massimo, fratello “ripulito” del proprietario di un ristorante. Massimo sta per sposarsi con l’unica donna che ha avuto nella vita. E’ al punto in cui, o ti lasci o ti sposi. Massimo si sposa. Emilio è giovane ed è “ricchione”, questo era l’unico termine usato a Napoli per identificare un omosessuale. Emilio riesce a scardinare l’omosessualità assopita malamente da Massimo. I loro incontri sono carezze sfuggenti e nascoste ad occhi che non capirebbero. Sono pericolosi, e i due ragazzi si nascondono, ma quel rapporto così controverso, rappresenta forse, l’unico momento di vero sentimento nella loro vita. Il loro è un ambiente in cui non è permessa alcuna diversità, vigono leggi sociali e di branco che non permettono nulla al di fuori di una prassi consolidata. Ma gli occhi di Antonio, fratello di Massimo, lo guardano dentro, sanno molto di più di quel fratello di quanto lui pensi. In quell’ambiente i problemi si risolvono in maniera spicciola, e uno come Massimo, non può certamente essere un “ricchione” di paese. Raccontare oggi una storia di omofobia sembra “eccessivamente” attuale. Sembra di cavalcare l’onda delle continue notizie di cronaca che riempiono le pagine dei giornali con atti di violenza inaudita. La storia è ambientata negli anni settanta, non per dare una risposta, ma per formare domande, perché solo guardando al passato, si possono capire le falle del nostro presente. Copre l’arco tra due tragedie nazionali, la strage di piazza della Loggia e la tragica morte di Pasolini, evocate entrambe nello spettacolo e simbolo di anni devastanti dal punto di vista sociale e politico. Il testo di Gelardi, però, porta in scena una storia d’amore: semplice ed emozionante come ogni storia d’amore. Poco importa se i protagonisti di questa storia sono due uomini, simbolo di una libertà che negli anni settanta era pura utopia, e oggi è finta democrazia. L’amore, quello vero, è libertà, anche se parte dalla periferia della nostra terra, dove il tempo sembra essersi fermato, di là da un finto progressismo, ci sono ancora leggi sociali antiche. Un piccolo melodramma sudato, che ha l’eco della musica popolare degli anni settanta, che vive di squarci di luce, sul nero dei giorni e di quelle vite.

 

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