Il commando dei casalesi responsabile della strage incompiuta del 18 agosto 2008, nella quale a Castel Volturno scamparono miracolosamente alla morte rimanendo feriti cinque nigeriani, e dell’eccidio nel quale un mese dopo, il 18 settembre, vennero uccisi sei ghanesi – bilancio poi salito a sette per la morte di un sopravvissuto – agì con “elevatissima aggressività” senza curarsi della incolumità di nessuno e animato da “evidente avversione e chiaro disprezzo per le persone di colore”. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni di conferma delle condanne per i cinque killer imputati depositate il 16 maggio e relative all’udienza del 30 gennaio. I casalesi avevano deciso di far pagare il pizzo ai pusher africani, e come prima cosa avevano preso di mira una associazione di nigeriani che si batteva per la legalità in contatto con le forze dell’ordine. Le armi si incepparono e la mattanza si bloccò. Il mese dopo – ha raccontato il ‘pentito’ Oreste Spagnuolo, presente ai blitz – “visto che i nigeriani non avevano capito da chi fosse partita la spedizione punitiva”, era stato organizzato “un altro raid presso la sartoria sulla statale Domitiana dove erano solite radunarsi persone di colore”. Il gruppo del Setola travestito con l’uniforme dei carabinieri e fingendo un controllo sparò con quattro pistole, due kalashnikov e una mitragliatrice. Oltre a rendere definitivo l’ergastolo per il capo dell’ala stragista Giuseppe Setola (44 anni), per Alessandro Cirillo (38), per Giovanni Letizia (34) e per Davide Granato (39), la Prima sezione penale della Suprema Corte ha anche confermato l’aumento di pena inflitto in appello a Antonio Alluce (42 anni) che deve scontare 28 anni e sei mesi (23 anni in primo grado). Confermate, dalla Suprema Corte, le aggravanti del metodo mafioso, della strage, dell’odio razziale e dell’aver agito per futili motivi. In primo grado, invece, la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, il 14 aprile 2011, aveva applicato anche l’aggravante del terrorismo, poi esclusa dalla Corte di Assise di Appello di Napoli, il 21 maggio 2013. Senza successo i camorristi hanno sostenuto che non volevano fare una strage: tutt’al più gli si poteva contestare l’omicidio plurimo. Ma per la Cassazione, nel primo raid, “è risultata accertata la manifestata intenzione di colpire chiunque capitasse a tiro, senza risparmiare neppure donne e bambini e, comunque, persone inermi”, e nel secondo “l’intento del gruppo di fuoco era quello di uccidere tutti coloro che fossero presenti nella sartoria evitando che vi fossero superstiti”.(


 

 

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