Scoppia la polemica in aula, durante il processo per l’omicidio di Domenico Noviello, tra l’avvocato dello Stato, Andrea Rippa, e i difensori delle parti civili sulle indennità già concesse dal fondo antiracket ai familiari dell’imprenditore ucciso nel 2008 a Castel Volturno dall’ala stragista dei Casalesi capeggiata da Setola. Ad accendere la miccia è stato il deposito da parte di Rippa, ammesso dal presidente della Corte d’Assise, della documentazione relativa alle indennità già concesse dal Viminale ai familiari dell’imprenditore. Il pm Alessandro Milita e i difensori dei tre figli di Noviello e della moglie si oppongono duramente: “Si tratta di documenti che dovrebbero restare assolutamente riservati – dice Giovanni Zara, avvocato di Massimo Noviello – non capiamo il perché di questa richiesta che mi sembra inopportuna. E’ come se lo Stato chiedesse il conto alle vere vittime di questa tragedia”. Fuori dall’aula, Zara specifica ulteriormente che “tale deposito è inutile perché lo Stato, già costituendosi parte civile, può avere diritto al risarcimento del danno da parte degli imputati. E allora perché rendere pubbliche le somme legittimamente percepite dai Noviello? Forse per dire alla Corte che loro sono già stati adeguatamente risarciti e che ora tocca allo Stato? Eppure il Fondo è alimentato non con soldi pubblici, ma con soldi provenienti dalla vendita dei beni confiscati ai clan o da sequestri di soldi dei camorristi”.

 

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