Omicron come punto di svolta. «Il 31 marzo scade lo stato di emergenza, sarà davvero il momento di avviarci alla normalità, a una gestione ordinaria della pandemia. La bella stagione ci aiuterà» ripete il dottor Fabio Ciciliano, componente della prima ora del Comitato tecnico scientifico. L’altro giorno Hans Kluge dell’Organizzazione mondiale della sanità ha spiegato: «Omicron può rappresentare per l’Europa un avvicinamento alla fine della pandemia». Rilette con attenzione, le sue parole sono più calibrate, ma comunque vedono «una fase nuova con la Omicron»; ancora: «La pandemia non è finita, scontato che emergeranno nuove varianti, ma con terze dosi, distanziamento, mascherine e sorveglianza, non serviranno nuovi lockdown». Ieri anche il commissario per l’emergenza, Francesco Figliuolo, era ottimista: «Abbiamo raggiunto il plateau, presto vedremo scendere il numero dei contagi». E il professor Massimo Ciccozzi, del Campus Bio-medico di Roma, fa questo sintesi: «Abbiamo raggiungo il picco, ora manteniamo le mascherine fino all’estate». Il professor Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università del Salento, da settimane sta ripetendo concetti simili a quelli dell’Organizzazione mondiale della sanità. E va oltre: ormai Sars-CoV-2 è endemico, dobbiamo prenderne atto e avviarci alla normalità. Ma molti criticano chi sembra dare un significato positivo alla formula “virus endemico”. Lopalco si arrabbia: «Non ha una valenza né positiva né negativa, ma tecnica. Certo, nessuno è contento per la circolazione di un virus. Ma virus e batteri esistono da sempre, pensiamo di chiuderci per tutta la vita in casa per evitare qualsiasi malattia? Dopo oltre due anni abbiamo una vasta fetta della popolazione parzialmente protetta nei confronti di Sars-Cov-2. Bene, la circolazione in una popolazione protetta per me è circolazione endemica. Continuare a gestire questa nuova fase con paura e chiusure non ha alcune senso. Questo non significa sottovalutare il virus. Dovremo rafforzare gli ospedali, organizzarli sapendo che vi sarà una parte dei pazienti che necessiterà normalmente di essere isolato. E anche l’uso delle mascherine, soprattutto nei mesi invernali nei luoghi al chiuso o affollati, dovrà restare una buona pratica perché ad esempio ha contribuito in modo significativo a ridurre l’impatto dell’influenza».

C’è un numero che sembra confermare un cambio di scenario con la diffusione della Omicron e una vasta fetta della popolazione vaccinata. Con il picco di 220mila contagiati in un solo giorno, gli ospedali ancora stanno tenendo. Sono in difficoltà, certo, però nessuna Regione ha raggiunto un numero di ricoveri tale da finire in fascia rossa. Tutto questo senza chiusure. Il problema, in questa fase, è raggiungere un punto di equilibrio anche nei messaggi che si stanno comunicando: sarebbe folle dire che oggi il Covid è come l’influenza, perché contiamo ogni settimana 2.500 morti, ma sarebbe altrettanto fuorviante che tutto è come prima e dunque permanere in un’eterna emergenza. «La cosa incredibile è che si è diffusa più paura per la Omicron, che invece mediamente causa una malattia meno grave, che per le drammatiche immagine dei camion che portavano via le bare a Bergamo. All’inizio di una pandemia devi reagire con il lockdown e misure severe, ma dopo due anni devi organizzare la normalità» dice Lopalco. Anche il professor Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare del Campus Bio-medico di Roma, vede la diffusione della Omicron, che si sta sostituendo alla Delta, unita alla vaccinazione, come il punto di svolta. Ma con alcune avvertenze. «Nel contingente serve cautela. La curva si sta abbassando, ma ancora abbiamo moltissimi contagi e 21mila persone in ospedale. Però – aggiunge Ciccozzi – è innegabile che i sintomi con la Omicron, specialmente per chi ha ricevuto la terza dose, siano meno gravi, ci stiamo avviando all’endemizzazione. Sars-CoV-2 ci ha già sorpreso più volte, per cui lo dico con prudenza: non mi aspetto dopo la Omicron varianti che siano altrettanto contagiose ma che causino una malattia più grave. Con queste premesse, dobbiamo prepararci a una gestione nei confini della normalità della nostra convivenza con il coronavirus. Magari con una campagna vaccinale annuale». Su questo Ciccozzi e Lopalco sono concordi: più che un ricorso periodico alle dose booster, è più probabile che si vada alla somministrazione, ogni inverno, di vaccini aggiornati sulla base della variante che sta circolando, proteggendo però solo alcune fasce della popolazione, chi è più a rischio come gli over 65 o i più fragili. «Per questo – conclude Ciciliano – il Paese deve uscire dallo stato di emergenza e andare una gestione ordinaria, dotandosi di strutture che ogni inverno, ad esempio, possano organizzare una campagna vaccinale mirata».

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