Due indagini distinte, una della procura di Monza e l’altra della procura di Brescia, con al centro un agente monomandatario di Banca Progetto (“siamo parte lesa”, ha comunicato l’istituto), che hanno portato a un sequestro complessivo di oltre venti milioni di euro. La doppia indagine della Guardia di Finanza di Como e della Guardia di Finanza di Brescia ha fatto emergere un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato, per ottenere finanziamenti garantiti dal Mediocredito centrale. Trait d’union tra i due procedimenti, Marco Savio (fratello del magistrato della direzione nazionale antimafia Paolo Savio, completamente estraneo all’indagine), agente monomandatario di Banca Progetto, due settimane fa posta in amministrazione giudiziaria dalla procura di Milano in un’inchiesta su finanziamenti disinvolti a società legate a esponenti vicini alla ‘ndrangheta. Savio è destinatario di due misure cautelari: la custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Monza e i domiciliari disposti dal giudice di Brescia.
L’indagine di Brescia, quasi sette milioni sequestrati
Nell’indagine di Brescia, coordinata dal procuratore Francesco Prete, sono stati sequestrati sei milioni e 700.000 euro incassati illecitamente da una società, attraverso tre prestiti assistiti prevalentemente dal Fondo di garanzia a favore delle Pmi del Mediocredito Centrale. Attraverso falsa documentazione e l’alterazione dei bilanci della società richiedente, il denaro sarebbe stato “in parte trasferito sui conti correnti nella disponibilità del citato agente, tramite bonifici giustificati da operazioni commerciali non coerenti”. L’agente, “sebbene formalmente estraneo all’azienda che ha beneficiato dei prestiti, ne avrebbe assunto sostanzialmente l’amministrazione e si sarebbe adoperato nella predisposizione di documentazione inattendibile (fatture, business plan, bilanci), allo scopo di mostrare una solidità finanziaria e patrimoniale”. Ai domiciliari è finito anche il suo braccio destro Diego Galli, mentre è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per Federica Burzio, considerata dagli inquirenti la factotum del gruppo.
L’indagine di Monza, bloccati 14 milioni di euro
Nella parallela inchiesta del pm della procura di Monza Michele Trianni, coordinata dal procuratore capo Claudio Gittardi, la Guardia di Finanza di Como ha eseguito invece sette misure di custodia cautelare in carcere, sette ai domiciliari, e cinque provvedimenti di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. In questa inchiesta, nella quale per Marco Savio è stato disposto il carcere, sono stati sequestrati quasi 14 milioni di euro, e bloccati ulteriori finanziamenti per diciotto milioni. In carcere anche Ernesto Maria Cipolla, considerato il promotore dell’organizzazione, già coinvolto in altri procedimenti per bancarotta e truffa e Maurizio Ponzoni, considerato vicino alla locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, già coinvolto nell’indagine della Dda di Milano.
Il gip, “Banca Progetto indotta in errore”
Gli indagati, scrive il gip di Brescia Marco Formentin, “inducevano in errore Banca Progetto sul rating creditizio e sulla conseguente possibilità di adempimento dei prestiti”. In entrambi i procedimenti Banca Progetto non è indagata. L’istituto precisa “di essere parte lesa nella vicenda. La Banca conferma la propria volontà di collaborare con la Gdf e le autorità competenti”.
Come funzionava la truffa
Insegne apposte all’ultimo minuto, finti operai e capannoni tinteggiati in vista dell’ispezione dell’istituto di credito. L’indagine della procura di Monza vede al centro una società brianzola che era alla mercé di un sodalizio criminale dedito a commettere reati fallimentari, frodi fiscali e truffe. La sede delle attività era a Cinisello Balsamo, affittata a una società di telefonia neocostituita e intestata a un prestanome. La truffa partiva dall’individuazione delle società attraverso cui chiedere un finanziamento, privilegiando quelle costituite da poco, che non avessero quindi subito controlli dal fisco. Le aziende in questione operavano per lo più nei settori del commercio all’ingrosso di polimeri, carta, cartone e di apparecchiature informatiche. Tutte con sedi fittizie a Milano, Brescia, Bologna e Venezia. Una volta individuate le aziende, il gruppo di indagati provvedevano ad acquistare delle quote attraverso prestanome di fiducia, in modo da sancire ulteriormente il sodalizio. Per poter chiedere i finanziamenti, venivano poi falsificati i bilanci grazie alla collaborazione di un professionista compiacente. Il commercialista alterava i dati contabili e di bilancio, facendo apparire una falsa ricapitalizzazione attraverso aumenti del capitale sociale del tutto inesistenti. L’azienda, in questo modo, appariva solida e con i requisiti necessari per poter restituire il finanziamento una volta ottenuto dalle banche. Truccati i bilanci il gioco era (quasi) fatto.
Le società provvedevano a presentare domanda di finanziamento garantito, nella misura dell’80 per cento, all’istituto di credito prescelto con la complicità di una agenzia finanziaria attiva a Brescia e dell’agente monomandatario arrestato dalla Guardia di Finanza. La pratica veniva così istruita da Banca Progetto (non indagata), agevolando la successiva istruttoria della banca e per questa mediazione illecita otteneva anche una percentuale sugli importi erogati. A questo punto l’istituto di credito, oltre agli adempimenti burocratici, poteva anche decidere di inviare propri funzionari per effettuare dei sopralluoghi nelle aziende richiedenti il finanziamento. Ma la frode, ben architettata, curava anche questo aspetto: venivano infatti organizzate vere messe in scena, si provvedeva a tinteggiare ad esempio il capannone in vista dell’ispezione e ad apporre il cartello con l’insegna fittizia. Ma venivano anche assoldati finti operai e portati sul posto macchinari mai utilizzati prima. All’esito dell’istruttoria, poi, la pratica del finanziamento veniva presentata dalla banca a Microcredito Centrale Spa, che dava così l’ok all’ammissione alla garanzia pubblica.