di Riccardo D’Antonio

Recentemente sono stati resi noti due “rapporti”, che ritengo molto utili per comprendere la situazione del mercato del lavoro italiano: il confronto prodotto da Eurostat sulle retribuzioni medie lorde in Europa e l’attesissimo sollevamento del velo di segretezza (e forse vergogna) sugli stipendi dei “manager” di stato.

Il primo ci consente di confrontarci con i nostri partner europei e il secondo ci porta ad una riflessione interiore. Senza sorpresa le retribuzioni medie lorde si attestano agli ultimi posti in Europa, superati perfino dalla Grecia, e si collocano a circa la metà di quelle tedesche (non il paese con gli stipendi più alti, ma il punto di riferimento per “virtù” economica).

L’analisi è per forza incompleta perché non tiene conto della fiscalità, che in Italia è particolarmente dura e che solitamente sottostima il reale peso di tutti i “balzelli” per i lavoratori dipendenti, non è corretta per le diverse dinamiche inflazionistiche e soprattutto è una “media” (che come insegnava Trilussa e come ci ricordano i super-pagati manager pubblici, risente delle osservazioni estreme). Tuttavia, si possono trarre alcune utili osservazioni, senza necessariamente meritarsi un Nobel:

1) Siamo l’ultimo dei paesi G7 europei (Germania, Regno Unito, Francia e Italia) e anche in misura piuttosto ampia, visto che i salari italiani sono circa i 2/3 di quelli francesi e circa la metà di quelli tedeschi. Ciò significa che dei modelli economici più “virtuosi” (se vogliamo chiamarli così) abbiamo recepito ben poco nel corso degli anni e soprattutto la presenza nell’Unione Europea non ha contribuito ancora a ridurre questo divario, visto che siamo pressoché ai livelli dei paesi “nuovi arrivati”.

2) Nonostante il basso livello di partenza la crescita degli stipendi è stata anemica quadriennio 2005-2009: +3,3% contro il +6,2% della Germania, il +10% della Francia e contro lo spettacolare +29,4% della Spagna.

3) Gli stipendi netti italiani, considerando una pressione fiscale intorno al 40% e anche che la partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne è ancora molto lontana dai modelli nord-europei, sono praticamente insufficienti per mantenere una famiglia in una grande città (con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne derivano). Quando si parla di rilanciare la competitività del paese, riformando il mondo del lavoro, ci si rende conto che, senza cambiare completamente paradigma, il costo del lavoro è diventato completamente incomprimibile e insostenibile?

4) La lista dei manager pubblici (ammesso che di manager si possa parlare, visto lo stato della nostra burocrazia) che percepiscono più dei 293.000 euro riconosciuti al Primo Presidente della Cassazione è lunga, variegata e comunque non tiene conto di prebende ed altri introiti, ma solo del reddito percepito dalla Pubblica Amministrazione. Inoltre, salta all’occhio, come faceva notare Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 27 febbraio, il fatto che sia composta quasi completamente da uomini anziani che ricoprivano qualche incarico di potere già negli anni 70-80.

Un club praticamente inespugnabile e a cui si accede solo per cooptazione, ad una certa età, e non per merito. La fotografia che se ne trae fa risaltare, a mio avviso, la chiave del problema: la struttura della società italiana nel suo complesso. L’Italia, per ragioni storiche o anche solo per una questione demografica, è una società molto conservatrice, diffidente verso i cambiamenti (specie se repentini) e soprattutto avversa al rischio, ma molto avvezza alle furberie (tipo evasione fiscale o accaparramento di rendite di posizione). Il risultato di questo mix, sedimentatosi e diventato quasi indistruttibile, ha portato alla progressiva esclusione del merito nella remunerazione e alla conseguente scarsa efficienza del sistema produttivo e all’affermarsi di un sistema sempre più sbilanciato verso la gerontocrazia oligarchica.

Lo Stato, paternalisticamente, ha provveduto nel corso degli anni, prendendo atto della situazione (ovviamente guidato da questi sentimenti popolari e anche dalla scarsa lungimiranza della suddetta classe dirigente) a cercare di colmare gli immensi gap retributivi con miopi politiche assistenzialistiche (di cui i baby-pensionati, i finti invalidi e i perenni sostegni alle aziende decotte sono solo alcuni esempi).

Tutta questa tensione è emersa però nella sua insostenibile tensione con il rafforzarsi della crisi internazionale: uno Stato diventa ingestibile, con le conseguenze sotto gli occhi di tutti, se i lavoratori sono scarsamente retribuiti (con conseguente selezione avversa degli stessi e loro ridotta produttività); i burocrati e i politici sono inefficienti, non devono rendere conto a nessuno circa il proprio operato e per giunta sono anche stra-pagati; gli imprenditori privati cercano di barcamenarsi alla men peggio tra questi due fuochi (traendone anche benefici se possibile); e il bilancio statale deve sopperire a queste e anche molte altre inefficienze.

Se vogliamo davvero ripartire e scrollarci di dosso la crisi economica e del debito, bisognerebbe affrontare seriamente il problema del mercato del lavoro, tralasciando campanilismi sterili e battaglie vetuste: abbiamo una classe lavoratrice mal pagata e comunque mal incentivata e motivata, guidata da una classe dirigente pubblica, viceversa molto ben remunerata (non solo economicamente) e assurta a questo rango battendo le vie del sotto-governo e del para-stato e non quelle del merito.

Nel mondo anglosassone si dice che pagando noccioline si assumono solo scimmie, speriamo di non essere costretti a darci al circo.

 

PAESE RETRIBUZIONE LORDA ANNUA

LUSSEMBURGO 48,914

PAESI BASSI 44,412

GERMANIA 41,100

BELGIO 40,698

IRLANDA 39,858

FINLANDIA 39,197

REGNO UNITO 38,047

FRANCIA 33,574

AUSTRIA 33,384

GRECIA 29,160

SPAGNA 26,316

CIPRO 24,775

ITALIA 23,406

PORTOGALLO 17,129

SLOVENIA 16,282

MALTA 16,158

SLOVACCHIA 10,387

dantonio@campanianotizie.com

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