di Riccardo D’Antonio
La BCE, dopo la sua riunione mensile, in cui ha lasciato invariati i tassi d’interesse, ha definito la sua nuova politica in merito all’intervento nei mercati obbligazionari per contrastare gli effetti della crisi e riconciliare le sue diverse anime.
Infatti, la BCE, fin dal momento in cui la crisi si è manifestata in tutta la sua pericolosità e urgenza, è sempre stata tentennante e in bilico tra l’esigenza di essere il “prestatore di ultima istanza”, e quindi l’effettivo muro contro il contagio, e il divieto di finanziare “monetariamente” i deficit dei Paesi membri. Con il piano OMT (“Outright Monetary Transactions”) varato ieri si dà il via libera all’acquisto di titoli di stato a breve (scadenze fino a 3anni) in quantità illimitate a condizione che esse vengano “sterilizzate”, ossia si ritiri dalla circolazione una quantità di moneta pari all’ammontare dei titoli acquistati, e che gli Stati emittenti aderiscano al programma di rientro dal deficit (non ancora) stabilito dal Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM).
Apparentemente, Draghi ha trovato l’uovo di Colombo, visto anche che il piano è stato giustificato sulla base dell’inabilità, nell’attuale situazione di incertezza circa il destino della moneta unica, di trasmettere correttamente la politica monetaria. Da questo punto di vista, quindi, il mezzo utilizzato è potentissimo perché dovrebbe fugare ogni dubbio sull’effettiva capacità dell’Euro di sopravvivere a questa crisi. Restano, tuttavia, una serie di dubbi circa le condizioni che saranno imposte agli Stati per accedere al programma: se esse saranno troppo stringenti, come quelle per esempio imposte alla Grecia, si rischierà che i Paesi in difficoltà (Spagna, in primis, e Italia) vi ricorrano solo all’ultimo istante, nel momento in cui sarà forse troppo tardi.
Allo stesso tempo, si rischia un pericoloso, per ora sventato o vinto da Draghi, confronto con la linea intransigente della Germania: condizioni troppo morbide, unite alle caratteristiche di inquantificabilità dell’intervento, alla rinuncia alla prelazione rispetto agli altri creditori e all’incertezza sull’effettiva capacità di sterilizzazione, rischiano di scontrarsi col malcontento dell’elettorato tedesco, di cui forse si avrà già un primo assaggio il 12 settembre con la decisione della Corte Costituzionale tedesca in merito ai trattati sul fiscal compact e l’ESM. I problemi e i dettagli più delicati dell’OMT emergeranno progressivamente e metteranno alla prova le capacità negoziali e diplomatiche di tutti gli attori coinvolti.
Ciò che interessa notare, però, è che il piano agisce solo sui sintomi della crisi (gli spread elevati sui titoli di stato sono solo un effetto dei problemi) e arriva sicuramente in maniera molto tardiva. Proprio ieri l’Eurostat ha confermato la recessione della zona Euro e non c’è neppure bisogno di ricorrere a misure statistiche per rendersi conto dell’affanno dell’economia reale: consumi in caduta libera, produzioni industriali stagnanti, impossibilità di finanziare la spesa pubblica, etc.
Con questo intervento mirato e sagace, quasi sicuramente Draghi è riuscito a salvare l’Euro, ma realizza ben poco per ripristinare la crescita economica e risolvere i problemi concreti dell’Europa. In Europa, come in Italia, purtroppo si continua a procedere per compromessi forzatamente edulcorati, che al più si dimostreranno dei palliativi nel momento in cui li si analizza scrupolosamente. Gli elettori forse saranno anche distratti, ma, purtroppo, gli speculatori finanziari sono notoriamente molto attenti.
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