CASAGIOVE – Il PD Casagiovese, nel 30° dell’assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, e nel ventennale delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio che sterminarono con Giovanni Falcone e la moglie, Paolo Borsellino e gli otto agenti delle scorte, organizza un incontro di studio e di riflessione al quale parteciperà il Prof. Franco La Torre, figlio di Pio La Torre.

L’appuntamento è per lunedi 28 di maggio alle ore 18,00, nel cortile della Caserma Borbonica di Casagiove con accessi da Via s. Croce e da Via Quartier Nuovo. Alla presentazione dell’iniziativa, di Carlo Comes, segretario del circolo casagiovese del PD, ha dichiarato: “Ho guardato i giornali e i tg del primo di maggio dell’82, del giorno dopo. Riportano le immagini di quella berlina scura dal cui finestrino penzola la gamba inerte di Pio La Torre e dentro la quale si intravede, tra i riflessi, il viso giovane di Rosario Di Salvo. Nelle foto e nei filmati sono ripresi, tra poliziotti e carabinieri impegnati nei rilievi e a tener lontana la folla, coloro che erano attesi dalla stessa, tragica fine. C’è Giovanni Falcone. C’è Paolo Borsellino con la sua immancabile sigaretta accesa. C’è Rocco Chinnici. C’è Ninni Cassarà. L’auto con gli assassinati è dentro la stretta via, nella città delle caserme, dedicata al generale Euclide Turba, palermitano, caduto nella Grande Guerra, medaglia d’oro, insegnante all’allora all’Accademia di Finanza di Caserta. . Dentro quella strettoia e dentro quell’auto si è compiuto l’assassinio dell’uomo che prima di tutti gli altri ha sostenuto che la mafia siciliana non è un problema di ordine pubblico ma la”questione nazionale”; l’uomo, il parlamentare che vuole, senza debolezze e compromessi, una legge che dica, senza ipocrisie che essere mafioso è reato. E, in forza della pena che ogni reato richiede, vuole che i patrimoni cumulati col crimine mafioso continuato, siano confiscati e consegnati alla comunità. Nel suo lavoro quotidiano è spesso isolato, è considerato un rompiscatole e tra gli stessi suoi compagni trova diffidenza. E’ lui che propone l’invio a Palermo di Carlo Alberto Dalla Chiesa che aveva conosciuto nel lontano 1949, dopo l’uccisione di Placido Rizzotto, ma il generale arriverà solo dopo il suo assassinio e anche lui, senza i poteri, promessigli ma mai concessi, destinato alla stessa sorte, solo quattro mesi dopo, con la giovane moglie Emanuela. Dieci anni dopo, mezza tonnellata di tritolo, sotterrato sotto l’autostrada a Capaci, chiude l’esistenza di Giovanni Falcone, è il 23 di maggio del 92. Passano meno di due mesi e il 19 di luglio, a Casagiove giorno dedicato a Vincenzo De Paoli, santo della carità, in via d’Amelio a Palermo la mafia cancella anche Paolo Borsellino, dentro una strage che lascia a terra altri quattro uomini e una donna della inutile e tragica scorta. Trent’anni dopo, gli italiani onesti ancora non hanno saputo chi ha voluto morti Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa. Vent’anni dopo, ancora non hanno saputo chi ha voluto morti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Noi sappiamo che erano uomini onesti al servizio del Paese e naturalmente contro le mafie, sappiamo che non praticavano i poteri collusi, sappiamo che avevano coraggio e coerenza e sappiamo che è nostro dovere ricordarli e indicarli ad esempio alle giovani generazioni; ancor più, farlo, in una terra che è martoriata dalla camorra, che è avvelenata dalle sue attività e dal suo potere; in una terra che è, tutti i giorni, rapinata di pezzi di futuro e di speranza;; in una terra dove continuano a persistere un pensiero e una pratica, anche se genericamente preterintenzionali, compatibili con le logiche delle camorre, in una terra che ha quasi più bisogno di legalità che di aria per respirare.”

 

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