L’occhio strabico della cronaca e della politica italiana riduce il vento di modernità che soffia dalla Tunisia a dramma umano, barcone alla deriva, migrante ostile. Ma al di là del Canale di Sicilia tutto si muove.

Basta ascoltare le parole di Sihem Bensedrine, giornalista attivista, arrestata nel 2001 per aver denunciato in un’intervista da Londra il regime di Ben Ali, oggi presidente del Conseil National pour la Liberté, e fondatrice dell’Osservatorio per la libertà di stampa. Figura di primissimo piano della rivoluzione tunisina, anche lei era al convegno di Roma “La speranza scende in piazza” che ha raccolto per tre giorni le voci della primavera araba. Sihem è una donna minuta dagli occhi fiammeggianti. Racconta che a Tunisi è in corso una guerra tra la democrazia che prova ad affermarsi e i vecchi poteri che “come un’Idra tentano di sopravvivere usando ogni mezzo”. Strutture che avvertendo il pericolo si appoggiano al potere transitorio e si servono delle stesse lobby dell’informazione usate dalla dittatura. Per Bensedrine questi gruppi di pressione “gravitano attorno a Nessma tv, la televisione di Silvio Berlusconi e Tarak Ben Ammar”. Una rete che ha assunto a tutti gli effetti il ruolo di tv pubblica “poiché è interamente dedita alla disinformazione”.

 

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