Il sindaco Gaetano Manfredi ha deciso: l’anno nuovo si porterà via tutti i manager delle partecipate del Comune e le stesse aziende – che incassano molto con contratto dal socio unico palazzo San Giacomo ma erogano servizi di qualità molto scadente – verranno ristrutturate. Cosa significa? Cambierà il manico e anche la forma della governance. L’amministratore unico come formula di gestione a Napoli non funziona. Servono figure che lo accompagnino. Si ipotizza un ritorno ai Cda e quella di un direttore generale. Per tracciare la filiera delle responsabilità. Sulla scrivania dell’ex rettore stanno iniziando ad arrivare i primi dossier che riguardano le singole partecipate, voluminosi e da arricchire perchè questo è un primo grosso lavoro che si è preso in carico l’assessore al Bilancio Pier Paolo Baretta affiancato dal direttore generale Pasquale Granata. Sono stati analizzati i conti, l’andamento degli ultimi anni delle stesse aziende. Ora manca la valutazione degli assessori. Ciascuno dovrà dire cosa serve per far fare il salto di qualità alle aziende che devono dare servizi dignitosi ai napoletani. La sostanza è che il sindaco ha bocciato le partecipate e chi le guida e ha fatto scattare il conto alla rovescia. Le criticità sono grosse e così come è ridotto il Comune – con un debito da 5 miliardi sul groppone – se non arrivano risorse fresche dal Governo è difficile dare il segno del cambiamento. E per farle arrivare serve un segnale forte verso Roma, le partecipate devono prestare servizi minimi all’altezza e avere un bilancio sano. Perché da Governo non arriveranno soldi a perdere. Manfredi è fiducioso che nella legge di bilancio per Napoli ci saranno soldi e norme più flessibili per le assunzioni. Ecco perché si sta muovendo con determinazione.

Nel mirino ci sono – per esempio – Asìa, l’azienda che gestisce la raccolta e lo spazzamento dei rifiuti e Anm, l’Azienda napoletana mobilità in concordato preventivo e sotto la lente del tribunale. Resta sempre sulla soglia del fallimento. Asìa è completamente esposta con le banche pur godendo di un contratto di servizio con il Comune che supera i 180 milioni. Perché questa anomalia? La risposta ha che fare con i guai finanziari di Palazzo San Giacomo gravato dal debito. Asìa, per la natura dell’opera che presta, ha il costo, per una legge del 2018, coperto integralmente dalla Tari, ovvero dalla tassa sui rifiuti. E questa evenienza la rende agli occhi delle banche un soggetto affidabile. Asìa, non a caso, ha una esposizione bancaria notevolissima, di centinaia di milioni.

Ma per quanto forti le banche hanno necessità di garanzie assolute a copertura di cifre così ingenti. E quale garanzia migliore se non l’incasso della tassa sui rifiuti? È vero che solo il 40% dei napoletani la paga, ma quei 4 cittadini su 10 che versano l’obolo fanno sì che nelle casse di Asìa entrino ogni anno oltre 180 milioni. In virtù di questa certezza Asìa può permettersi il lusso di cedere il suo credito – il contratto – alle banche, facendosi fare anticipazioni di liquidità superando così la mancanza di finanziamenti dal Comune. Si chiamano anticipazioni di liquidità – tecnicamente si tratta di «Anticipazione di credito bancario a fronte di fatture» – e sono perfettamente lecite. Ma come ben sanno a Palazzo San Giacomo – la gestione precedente non certo quella attuale – nella sostanza sono debiti perché le banche non le fanno a gratis. Quelle che il Comune ha con Cdp, per esempio, hanno un tasso che va dal 4 al 5%. Quanto ad Anm la situazione in cui è precitata è ha radici in una serie di cause, tra queste il fatto che sei napoletani su dieci non pagano il biglietto del bus, più alta la percentuale sulla metro. Ma anche di una gestione che consente a poche decine di persone – per esempio – di paralizzare l’intero sistema di trasporto pubblico in città. Si ricorderanno come in 4 sono riusciti a mettere in scacco l’intera azienda per le funicolari.

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