Il Centro operativo Dia di Napoli ha eseguito 25 misure cautelari, delle quali 17 in carcere e otto agli arresti domiciliari, disposte con ordinanza emessa dal gip presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della procura della Repubblica di Napoli – Direzione distrettuale antimafia. Agli indagati sono contestate, a vario titolo, fa sapere la Dia in una nota, «condotte di associazione per delinquere di tipo camorristico» perché, al termine delle indagini preliminari svolte, sono accusati di appartenere al «clan Mallardo» attivo a Giugliano in Campania e comuni limitrofi «e confederato con i clan Contini e Licciardi nella cosiddetta Alleanza di Secondigliano». Sono inoltre «a vario titolo, contestate plurime condotte estorsive, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, false attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, favoreggiamento personale, fittizia intestazione di beni, impiego di denaro di illecita provenienza, autoriciclaggio, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, delitti, tutti, aggravati dal metodo mafioso». C’è anche un dentista tra i destinatari delle 25 misure cautelari notificate dalla Dia di Napoli a presunti appartenenti al clan Mallardo: l’uomo, è emerso dalle indagini coordinate dalla Dda, è accusato di avere consegnato un certificato medico recante false attestazioni al reggente del clan (che sta scontando una condanna a 30 anni per omicidio, anche lui destinatario di uno dei provvedimenti odierni) utilizzato per giustificare la sua assenza in occasione di un controllo dei carabinieri nell’abitazione dove si sarebbe dovuto trovare in detenzione domiciliare. Per ragioni di salute gli era stata concessa la detenzione domiciliare in Piemonte, ma era stato autorizzato a recarsi per alcuni giorni al mese a Giugliano in Campania, per sottoporsi a cure odontoiatriche. Durante la sua permanenza nel Napoletano, però, organizzava summit con gli altri affiliati e gestiva i proventi delle attività illecite che venivano versati in una cassa comune, utilizzata per il sostentamento delle famiglie dei detenuti. Il denaro derivava prevalentemente dalle estorsioni che vedevano vittima i cantieri edili di Giugliano ma anche dei comuni della fascia costiera Licola, Varcaturo e Lago Patria. Per gestire gli affari illeciti, il reggente si avvaleva, tra gli altri, anche dei suoi familiari più stretti tra cui la moglie, una delle sorelle ed il cognato anche loro arrestati e accusati di associazione camorristica. Durante il suo periodo di reggenza ha messo fine a dei conflitti interni, gestendo i rapporti con il gruppo scissionista delle “palazzine”​ di Giugliano, e consolidato gli storici rapporti con i clan napoletani dei Contini e Licciardi della cosiddetta Alleanza di Secondigliano.

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