La Camera ha respinto respinta con 211 no e 129 si la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni, primo firmatario il capogruppo di Azione Matteo Richetti, contro il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Blindare i due ministri senza dare altro spazio alle “tesi abbastanza infondate” delle opposizioni. Le parole del capogruppo di FdI Tommaso Foti spiegano la mossa con cui la maggioranza ha deciso di invertire l’ordine dei lavori della Camera per arrivare subito in serata alla votazione sulla mozione di sfiducia a Matteo Salvini e poi, in mattinata, a quella su Daniela Santanchè. La prima è stata respinta con 211 no e 129 sì, ed è scontata la bocciatura anche della seconda, anche se le due vicende hanno risvolti politici diversi. Pure all’interno dello stesso centrodestra. La situazione più spinosa, anche per Giorgia Meloni, riguarda la ministra del Turismo. Fra i deputati della maggioranza, nessuno ha dubbi che per la seconda volta verrà respinta la sfiducia, come il 26 luglio al Senato, quando votarono a favore solo M5s, Pd e Avs. Questa volta anche Azione ne chiede le dimissioni, alla luce di quanto emerso sulle società Visibilia, Bioera e Ki Group. Non Italia viva. “Santanchè ministra ha fallito e noi la contestiamo sul piano politico. Ma noi – ha spiegato Matteo Renzi – non usiamo le indagini per attaccarla”. L’atmosfera di gelo intorno alla ministra di FdI è resa dalla discussione generale sulla mozione: Aula semideserta, ai banchi del governo a tratti solo la ministra dell’Università Anna Maria Bernini. La sottosegretaria per i Rapporti con il Parlamento, Matilde Siracusano, esorta a non “usare a intermittenza” la separazione dei poteri, perché si “rischia di attribuire alla magistratura la funzione di comporre e scomporre i governi”. Per giorni il centrodestra ha valutato l’ipotesi di far slittare il voto, sfruttando la congestione di provvedimenti alla Camera. A metà giornata si decide l’accelerazione. “Siamo in attesa di sviluppi”, si lascia sfuggire un esponente di peso di FdI. Filtra timore per le notizie che potrebbero arrivare dal Palazzo di giustizia di Milano. Nei prossimi giorni è attesa la chiusura dell’inchiesta su Visibilia per false comunicazioni sociali, e poi la Procura – a meno che Santanchè non chieda di farsi interrogare e dimostri il contrario – scaduti i venti giorni canonici, si avvia alla richiesta di rinvio a giudizio. Se dovrà affrontare un processo, “la ministra farà le sue riflessioni”, il refrain nel centrodestra. “Siamo garantisti, dopodiché – chiarisce il vicesegretario leghista Andrea Crippa – Meloni, che è premier e leader di FdI deciderà di fronte a un rinvio a giudizio”. Diverso è il caso di Salvini, sotto accusa da parte delle opposizioni per l’accordo fra Lega e Russia Unita. In vista della votazione conclusa in serata, la maggioranza ha precettato i deputati: nessuna assenza consentita per missione, qualche banco comunque resta vuoto, in Aula si rivedono l’azzurra Marta Fascina e Antonio Angelucci della Lega. Diversi ministri (Roberto Calderoli, Giancarlo Giorgetti, Luca Ciriani, Gilberto Pichetto e Eugenia Roccella), seguono le dichiarazioni di voto. Non il diretto interessato, che dopo aver risposto al question time nel pomeriggio lascia Montecitorio per “una riunione sulle concessioni autostradali”. Un’assenza stigmatizzata dalle opposizioni. “È molto grave”, per Angelo Bonelli (Avs). “Se l’è data a gambe?”, la battuta di Davide Faraone (Iv). Il leader leghista, secondo Giuseppe Conte, ha la “grande responsabilità politica di aver sottoscritto un accordo con il partito principale russo, di aver lasciato che si rinnovasse nonostante l’aggressione russa, e di non averlo mai ripudiato”. La Lega rivendica le parole con cui, alla vigilia di questo voto, Salvini ha “fatto chiarezza”. Riccardo Molinari rimarca due aspetti del patto stretto nel 2017 con il partito di Vladimir Putin: “Si svolgeva nel partenariato fra Stati e non era legalmente vincolante: se non c’è più cooperazione e interazione fra i Paesi, viene meno anche l’accordo”. Per gli alleati va bene così: FdI, Lega e Nm puntano invece sul “disallineamento” nel centrosinistra. Il Pd prende atto che alla vigilia “la Lega ha sconfessato l’accordo, ma manca un atto formale e senza quello il rapporto non ha avuto fine”, sottolinea Lia Quartapelle, sostenendo che “Meloni è stata la prima a sollevare problemi sui rapporti fra Russia e Lega, tanto che non ci sono leghisti nei ministeri di Esteri, Difesa e Affari europei”.

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