Giovedì la maggioranza di destra che sostiene il governo di Giorgia Meloni si è platealmente divisa. È successo nella commissione Affari costituzionali del Senato, dove si discuteva il decreto-legge cosiddetto “Elezioni”, e in particolare su un emendamento presentato dalla Lega che portava il limite dei mandati consecutivi che un presidente di regione può svolgere da due a tre. È la seconda volta in due mesi che la maggioranza si spacca: a fine dicembre era successo alla Camera, sulla ratifica della riforma del MES. L’innalzamento del limite infatti aiuterebbe alcuni presidenti del Partito Democratico prossimi alla scadenza (Vincenzo De Luca in Campania, Michele Emiliano in Puglia, Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna). E inoltre prolungherebbe la permanenza di esponenti della Lega alla guida di importanti regioni del Nord (Luca Zaia in Veneto, Attilio Fontana in Lombardia) che il partito di Meloni vorrebbe occupare a sua volta, avendo l’ambizione di esprimere un proprio candidato o candidata presidente al prossimo giro, in virtù del fatto che ora Fratelli d’Italia è il primo partito all’interno della coalizione di destra. La maggioranza si spacca. I parlamentari di Fratelli d’Italia e Forza Italia votano contro l’emendamento al decreto elettorale con cui la Lega ha tentato di aprire la strada alla ricandidatura di Luca Zaia in Veneto. Il risultato finale è schiacciante: i voti favorevoli alla proposta leghista sono solo quattro, i no 16. Al fianco dei senatori leghisti si schiera soltanto Italia Viva. A respingere l’emendamento, con FdI e Fi, sono invece le opposizioni, con Pd, M5s e Avs che si compattano sul voto contrario. La premier Giorgia Meloni ricorda che il terzo mandato “non era inserito nel programma” di governo e rassicura: “non è una materia che crea problemi alla maggioranza”. Ma la Lega non molla. Il presidente del Veneto Zaia tiene a precisare che “la strada è ancora molto lunga”. E a confermare che da via Bellerio non c’è alcuna intenzione di lasciarla vinta agli alleati di governo ci pensa il segretario e vicepremier Matteo Salvini. Che avverte: “se ne parlerà nell’Aula del Parlamento che è sovrana”. Una frase lanciata poco dopo la spaccatura in Commissione e in cui molti leggono l’ipotesi che la Lega possa ripresentare l’emendamento quando il decreto approderà nell’Aula di Palazzo Madama. Eventualità che secondo alcuni porterebbe allo scontro frontale in maggioranza. “Perché la bocciatura in Commissione è una cosa, ma andare al redde rationem in Aula è ben più pesante”, spiega qualcuno in Transatlantico. A sentire il senatore veneto della Lega Paolo Tosato, vicepresidente della Commissione, si tratterebbe tuttavia di un’ipotesi che al momento non intimorisce almeno una parte del partito. “Ripresenteremo le nostre proposte – spiega Tosato – e cercheremo di convincere i nostri alleati di maggioranza a rivedere le loro posizioni”. Dalle parti di Fdi e Fi c’è l’auspicio che con il voto in Commissione si possa scrivere la parola “fine” a giorni di battibecchi e frizioni con la Lega. Da qui il tentativo di tenere i bassi i toni, a partire dalla premier, che parla di “opinioni diverse” e discussioni “in massima serenità”. Le fa eco il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani di FdI, quando ricorda che “sono cose che succedono, ma l’attività del governo non viene minimamente toccata”. “Nessuna lacerazione”, assicura Forza Italia con Maurizio Gasparri. La stessa Lega ha evitato di andare all’impatto con l’esecutivo, ritirando in Commissione l’emendamento sul terzo mandato ai sindaci per i comuni superiori ai 15 mila abitanti su cui era arrivato il parere negativo del governo. E c’è chi fa notare che anche all’interno della Lega, non tutti sarebbero d’accordo ad andare al muro contro muro. Sulla linea del presidente del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga, che aveva già invitato a riaprire la discussione dopo le elezioni europee, ci sarebbe anche un gruppo di parlamentari, tra cui il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, che si è tenuto alla larga dalle tensioni in Commissione. Tensioni che si riverberano anche nel campo delle opposizioni. Pd e M5s puntano il dito sulle divisioni interne alla maggioranza. Ma c’è chi, come Enrico Borghi di Italia Viva, si scaglia contro “l’insipienza del campo largo”. Nel partito guidato da Matteo Renzi, infatti, c’era l’auspicio di trainare le altre opposizioni verso un voto favorevole al provvedimento, così da scrivere una “sconfitta totale della premier”. Ma i dem, dopo riunioni accese e aspri dibattiti interni, alla fine scelgono di cambiare la linea della non partecipazione al voto e virano verso il voto contrario, già annunciato da M5s e Avs. Con l’esito, però, di non aver “salvaguardato l’unità del partito”, come evidenzia l’ala riformista guidata dal presidente Stefano Bonaccini, e sostenuta dai sindaci dem favorevoli al terzo mandato.

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