Elly Schlein ci ripensa. Dopo 24 ore sull’ottovolante, col Pd scombussolato dalla proposta di inserire il nome della leader nel simbolo per le Europee, la segretaria fa inversione a U. Il logo era pronto, già abbozzato dai grafici. Ma è rimasto nella cartellina di Igor Taruffi, il responsabile Organizzazione del Pd. Elly Schlein ha cambiato idea tra domenica sera e ieri mattina. Lo ha annunciato nel primo pomeriggio di lunedì lei stessa durante una diretta sul suo canale Instagram. “E’ stato proposto di inserire il mio nome nel logo, si è aperta una bella discussione, ringrazio chi ha fatto questa proposta, ma penso che il contributo lo possa dare correndo accanto a loro, in questa lista. Una proposta più divisiva che rafforzativa e non ne abbiamo bisogno”. Lo ha detto la segretaria Pd, Elly Schlein, in una diretta Instagram. “Avremo bisogno di tutto il vostro supporto perché se insieme vinceremo l’alternativa c’è già e c’è da domani. C’è tanta voglia di cambiamento e di accendere una speranza”. È stato deciso poco prima della scadenza per il deposito ufficiale dei contrassegni elettorali, cioè appunto i simboli che identificano i vari partiti e che compariranno sulle schede, che andavano consegnati al ministero dell’Interno lunedì 22 aprile entro le 16. Schlein ha dunque rinunciato a una decisione che pure aveva presentato con convinzione negli ultimi giorni, e lo ha fatto per evitare che i malumori generati da questa eventualità avessero conseguenze negative nei rapporti interni al partito. Ad irritare Schlein nelle scorse settimane non era stata tanto la decisione del leader del M5S Giuseppe Conte di far saltare le primarie giallorosse e Bari, nonché di uscire dalla Giunta di Emiliano al grido “la legalità per noi non è un valore negoziabile”, quanto proprio il sistema di potere radicatosi negli anni nella Puglia del “ras” e portato alla luce dalle inchieste. Sempre Conte le aveva rivolto le parole più scottanti: “Cambi il Pd prima che il Pd cambi lei”. E la risposta di Schlein è stata istintivamente duplice: prima la decisione di stampare sulle tessere del Pd gli occhi dello storico leader del Pci Enrico Berlinguer, l’inventore e il paladino della “questione morale”; poi la tentazione – rientrata in corner – di mettere il suo nome dentro il simbolo del Pd imitando un’usanza della destra ripresa anche dalla premier Giorgia Meloni per il suo partito, Fratelli d’Italia. L’intenzione era appunto quella di gettare tutto il peso della sua freschezza e per così dire della sua estraneità alla storia del Pd per mandare il messaggio di quel radicale rinnovamento più volte annunciato e che nella compilazione delle liste per le europee si è potuto esprimere di fatto solo con pochi volti. Quasi che il Pd fosse appunto la bad company descritta da Conte. Sull’ipotesi di inserire il nome nel simbolo il dibattito dentro il Pd è stato acceso. Al di là delle prese di posizione a caldo, tra gli altri, di Romano Prodi, di Dario Franceschini e di Gianni Cuperlo (“Elly è un valore in più e guiderà quella sfida offrendo un contributo prezioso. Non drammatizzo il tema del simbolo, per quanto mi riguarda penso che quella scelta potrebbe trasmettere un modello di partito che non è il mio”), molti hanno voluto rimarcare il loro dissenso. Lucia Annunziata, capolista nella circoscrizione sud, per esempio, si definisce “in completo disaccordo” sull’operazione perché “il nome nel simbolo è la trasformazione del Pd in un partito personale proprio nel momento in ci la maggioranza ha presentato una riforma, il premierato, che distrugge l’attuale assetto costituzionale”. Critica anche Alessia Morani, anche lei candidata pd: “Il Pd finalmente ha superato il tabù del valore della leadership, soprattutto lo ha fatto l’ala sinistra del partito, ma non posso dire se il valore della leadership si misuri con il nome nel simbolo, certamente non appartiene alla tradizione del partito”. Il sindaco di Milano Beppe Sala non pare entusiasta: “Non ho un commento in proposito, fosse il mio partito probabilmente commenterei. Preferisco evitare commenti”. E una figura storica del Pci come Claudio Petruccioli affida il suo pensiero critico ai social: “Valore aggiunto? Può darsi. Ma con rammarico io questa volta non voterò Pd per il modo come Elly Schlein fa la segretaria e per le sue scelte politiche. Per carità… una goccia nel mare Comunque meno 1”. Quanto a Schlein, la confusa gestione della sua candidatura e anche la questione del nome nel simbolo mostrano quantomeno un’incertezza dettata dalla paura: quella di non superare la soglia psicologica del 20%, stretta tra le critiche a tutto campo di Conte e la competizione delle liste al centro e a sinistra. Una cosa è certa: per la giovane segretaria del Pd venuta dai movimenti quella dell’8 e 9 giugno è la battaglia della vita.

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