Arriva il Def e infiamma lo scontro politico. Per il governo presentare stamattina in Consiglio dei ministri un documento di economia e finanza “snello e assai asciutto” è l’unica scelta possibile, perché le nuove regole del patto di Stabilità Ue impongono, come dicono a Palazzo Chigi, “nuove tempistiche”. Per le opposizioni invece la mossa di Giorgetti e Meloni di rendere note le cifre tendenziali dei conti pubblici, rinviando il quadro programmatico, è un “bluff” che preluderebbe a una manovra economica tutta “tagli e sacrifici”. Un Documento di economia e finanza, l’ultimo prima della revisione delle regole di governance economica Ue, che si limiterà ai dati di bilancio tendenziali, senza scoprire le carte su quelli di programma. Con la spada di Damocle per i conti pubblici rappresentata dai bonus edilizi che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti definisce “un’eredità pesantissima”. E con l’eventualità di una manovra correttiva che Giorgetti allontana: “no – risponde alla domanda se sia necessaria una correzione di rotta per fronteggiare l’impatto del superbonus sul debito – sicuramente vogliamo rispettare esattamente gli obiettivi della Nadef dello scorso autunno per una questione credibilità, se c’è qualcosa da correggere la correggeremo ma sostanzialmente siamo in linea”. Prende forma in questa congiuntura, offuscata dall’incertezza sulle cifre finali degli aiuti al settore edilizio, il Def che il Consiglio dei ministri si appresta ad approvare nelle prossime ore. Con i dati mensili dell’Enea che certificano detrazioni maturate finora col superbonus per 122,24 miliardi a fine marzo, un numero che continua a crescere e il cui saldo finale è visto salire sopra i 210 miliardi. Quegli aiuti nati nell’emergenza pandemica, sul fronte della crescita, hanno dato una spinta al rialzo, consentendo, assieme alle ultime statistiche in miglioramento sull’economia italiana, di mantenere intorno all’1% la crescita del Pil che verrà scritta nel Def per il 2024. Crescita poco distante dall’1,2% della Nadef dello scorso autunno, anche se superiore ai numeri indicati da Banca d’Italia, Fmi e Commissione europea. Il grosso del deficit da bonus edilizi, poi, si sarebbe scaricato sul 2023 (al 7,2% del Pil la stima più recente), e il documento in arrivo manterrebbe la stima 2024 grosso modo sui livelli indicati nella Nadef al 4,3%, con un debito appena sotto il 140% del Pil contro il 140,1% indicato nella Nadef. Giorgetti presenterebbe solo un quadro tendenziale triennale nel Def, non invece il quadro programmatico: come aveva fatto l’esecutivo Draghi con la Nadef di fine 2022, per non legare le mani al Governo successivo. In questo caso la motivazione sarebbe il nuovo Patto di stabilità che rivede il calendario e la forma dei documenti da presentare all’Ue. Un orientamento che accende l’opposizione: “sarebbe un fatto fortemente negativo, di fronte ad un deficit 2023 enormemente superiore alle previsioni iniziali e un’economia che va peggio delle (ottimistiche) stime di settembre”, dice Antonio Misiani, responsabile economia del Pd. Un Def solo ‘tendenziale’ “non farà capire agli italiani le dimensioni della manovra economica” – rincara la dose Nicola Fratoianni (Alleanza Verdi Sinistra) “la destra al governo non vuole far sapere agli italiani prima delle elezioni europee che finora ha fatto solo bluff”. Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro della segreteria nazionale del Pd ed ex sottosegretaria all’Economia, ricorda che “il contenuto del Documento di economia e finanza non è un optional, non è una scelta del governo di turno. È disciplinato per legge. Un DEF “leggero”, senza parte programmatica, sarebbe quindi semplicemente contro la legge. Davvero il governo vuole spingersi a tanto?”. A giugno, dopo l’appuntamento delle europee, con in arrivo una nuova Commissione Ue e con in mano cifre più definitive sui bonus edilizi, sarà inevitabile fornire un quadro economico di programma. Ci sarà da far quadrare un quadro pluriennale di finanza pubblica con le nuove regole Ue. Che guardano anche alla sostenibilità del debito, aiutata dalle privatizzazioni, ma con venti contrari dati dalla crescita tendenziale di due decimali inferiore rispetto alla Nadef, da un’inflazione più bassa, da spese per interessi che per un effetto inerziale sono in aumento, ancorché la Bce si appresti a tagliare i tassi a giugno. Con il 2025 poi si avvicina la necessità di rifinanziare – con uno scostamento rispetto al deficit tendenziale per il 2025 che sarebbe fissato al 3,6% – il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a tre aliquote, con un costo complessivo di circa 15 miliardi. Inevitabile puntare su più crescita che, fatta salva una svolta sul quadro globale, rende sempre più centrali gli aiuti europei del Pnrr. E magari, nel piano di rientro del debito da presentare a Bruxelles, rispolverare il capitolo delle riforme strutturali, l’altra faccia dei quasi 200 miliardi del programma di aiuti europei.

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