Rush finale della IV edizione del Festival Teatri d’Anima all’insegna della dialettica vita/ morte e anima/ corpo con lo spettacolo Bobòk, che sarà rappresentato nella Sala parrochiale di Marzano Appio, giovedì 23 ottobre, a cominciare dalle ore 20.00. La drammatizzazione, l’adattamento, la regia e lo spazio scenico sono curate da Ferdinando Smaldone, uno degli attori insieme a Noemi Pirone, Salvatore Esposito, Antonio Affinito, Paola Guarriello, Maria Anna Russo, Lello Cirella e Chiara Mattiacci. Tratta da un racconto dello scrittore russo Fedor Michajlovic Dostoevskij, la performance conferisce provocatoriamente la parola…ai morti. Una certa qual persona, “un tale”, come viene semplicemente definito il protagonista Bobòk, capitato quasi per caso al cimitero, vi nota “molta finta mestizia e anche molta sincera allegria”. Qui si sofferma a leggere “le epigrafi sepolcrali, che sono eternamente la stessa cosa” e, dopo aver vagato nei suoi pensieri, si oblia sdraiato su una tomba. Si guarda intorno, osserva, si diletta del nulla; ma, all’improvviso, ode suoni, voci indistinte, parole. Così, incredibilmente, i morti prendono di nuovo forma e vita e dialogano tra di loro. Così, straordinariamente, essi assumono di nuovo un corpo privo di veli al fine di far emergere l’anima spoglia di qualsiasi maschera che ne celi la vera identità. Dunque, si realizza un vero e proprio denudamento morale attraverso quello fisico, che consente di arrivare a denunciare, in maniera forte ed efficace, le ipocrisie del mondo moderno. Da qui, viene costruito ed elaborato un “modello artistico del mondo”, in cui la ricerca dell’animo umano è spinta oltre ogni limite d’immaginazione. Per raggiungere questo obiettivo, spazio centrale nello spettacolo è riservato alla potenza esplosiva della fonicità: infatti lo stesso nome Bobòk è un vocabolo esistente nella lingua russa, ma in questo contesto è adoperato con intenzione onomatopeica al fine di riprodurre l’ultima emissione vocale dell’individualità, l’ultima esaltazione di una coscienza che la vitalità abbandona e che si spegne come una “scintilla impercettibile”. Poi, nello scorrere del racconto, la parola si carica di ulteriori significati e allusioni per creare un “realismo in senso supremo”, mosaico composto da vari tasselli, dal grottesco alla satira fino ad arrivare al fantastico all’assurdo che vanno a confrontarsi, senza mai scontrarsi, con il dibattito filosofico e il tragico. Quindi, un canto polifonico, unione di più voci danzanti nell’inafferrabile trasparenza dell’aria, espressione vorticosa di una coscienza che ripensa e trasforma sé stessa, compiendo in tal modo una rivoluzione dentro di noi, quella di proseguire “a vivere” ben oltre la morte.