Sergio Mattarella è il 12esimo presidente della Repubblica italiana: sono stati 665 i voti raccolti al quarto scrutinio. Nonostante fossero sufficienti 505 voti, sul suo nome c’è stata un’ampia convergenza e si è arrivati molto vicini al quorum dei due terzi che la Costituzione richiede per le prime tre votazioni. A ripensarci ora, un’occasione davvero sprecata dalle forze politiche che, visti i numeri in campo, avrebbero potuto dare un segnale di unità al Paese. Le cose sono andate però diversamente e il modo con cui si è arrivati alla scelta del nuovo inquilino del Quirinale lascerà sicuramente degli strascichi, sia nei rapporti tra gli alleati di governo sia all’interno di alcuni partiti, Ncd e Forza Italia in primis. In ogni caso da oggi l’Italia ha un nuovo capo dello Stato e presto lo stendardo presidenziale tornerà a sventolare sul torrino, assieme al tricolore e alla bandiera europea. Mattarella sale al Colle portando con sè una lunga esperienza istituzionale: è stato parlamentare, più volte ministro e, carica che formalmente ancora mantiene, anche giudice della Corte Costituzionale, nominato nel 2011 dal presidente Napolitano. Immediato l’augurio di buon lavoro inviato via Twitter dal premier Matteo Renzi, l’artefice dell’operazione Mattarella. «Buon lavoro, Presidente Mattarella! Viva l’Italia». Molti altri esponenti di governo hanno fatto altrettanto, senza aspettare l’esito definitivo dello spoglio.

La distribuzione dei voti

A favore di Mattarella si sono schierati il Pd, Scelta Civica, Sel, il gruppo di Socialisti e Autonomie e, dopo le ultime tormentate 48 ore in cui sembrava plausibile uno strappo nell’alleanza di governo, il blocco di Alleanza Popolare (Ncd-Udc). Forza Italia era invece rimasta ferma sulle proprie posizioni, optando per la scheda bianca. Lega Nord e Fratelli d’Italia hanno continuato a votare per Vittorio Feltri (46 voti), il M5S per Imposimato (127), mentre i fuoriusciti grillini si sono divisi: alcuni a favore di Mattarella, altri fermi sul nome di Stefano Rodotà (17 voti) che già avevano indicato nelle prime tre votazioni.

Il centrodestra a pezzi

Venerdì a tarda sera – secondo quanto fatto trapelare da fonti del governo – era stata una telefonata «molto cordiale» tra Renzi e Alfano a «ricostruire un clima sereno per consentire quella convergenza sul nome di Sergio Mattarella che il premier aveva auspicato». L’obiettivo è stato raggiunto, ma quanto successo nelle ultime 48 ore è destinato a lasciare un segno nei rapporti tra gli alleati di governo. Mentre Alfano ostenta fierezza («Renzi ha capito che non guida un monocolore Pd, la posizione di Ap non va mai data per scontata») e cerca di rassicurare Silvio Berlusconi («La nostra decisione non ha sfasciato l’asse con Forza Italia, il legame che si è in qualche modo ricostruito non intendiamo interromperlo») all’interno del suo raggruppamento si registrano forti malumori: Maurizio Sacconi ha annunciato le proprie dimissioni irrevocabili da capogruppo del Nuovo Centrodestra in Senato e lascia l’incarico di portavoce Barbara Saltamartini, che già aveva annunciato un voto in dissenso. E in casa di Forza Italia si attende la nuova presa di posizione di Raffaele Fitto e dei suoi fedelissimi, che imputano la debacle quirinalizia allo stato maggiore del partito e che da tre giorni chiedono l’azzeramento dei vertici. La vecchia CdL vincente tutta stretta attorno Berlusconi (altri tempi: l’alleanza era con Fini, Bossi e Casini) è solo uno sbiadito ricordo. Sintetizza la situazione la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in un tweet: «Il centrodestra è morto. In queste ore se ne celebra il funerale. Noi impegnati a ricostruire un’alternativa credibile all’onnivoro Renzi».

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