Sessantuno voti in meno. E’ il prezzo che Mario Monti paga per ottenere la fiducia sulla manovra. La luna di miele col Parlamento si affievolisce: i sì al Governo alla Camera scendono da 556 a 495 . Con una ulteriore riduzione per il voto finale sul provvedimento che si ferma a quota 402. Una maggioranza di certo ancora amplissima. Nella quale si avvertono però scricchiolii sempre più forti,

se è vero che non più solo il Pdl, ma anche il Pd, pur confermando pieno sostegno al governo tecnico, evoca lo spettro delle elezioni. Ma il presidente Monti richiama subito la politica alle sue responsabilità. E dal centro dell’Aula ricorda che un unico destino accomuna i partiti al suo governo, perché se “tutti non facciamo il nostro dovere”, si mette a rischio l’Italia.”Se tutti facciamo il nostro dovere con senso di responsabilità – sottolinea – non ho dubbi che l’Italia si salvera”. Perché questo è in gioco: è “a rischio il benessere” degli italiani. Anche se personalmente, assicura Monti, lui non è affatto “disperato”, come invece lo aveva descritto Silvio Berlusconi. Intanto nel pomeriggio, con un tempismo che in Parlamento non é passato inosservato, anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano richiama tutti alla necessità di scelte “severe e coraggiose”, di fronte al pericolo di un “drammatico disastro finanziario”.

Ma i partiti, stretti dalle pressioni dei rispettivi elettorati, nel garantire la fiducia al governo e nel dare il primo via libera alla manovra, iniziano a prendere le distanze. Lo fa platealmente il Pdl, con le assenze e le astensioni in Aula. Due deputati del partito di Silvio Berlusconi votano ‘no’ alla fiducia, 4 si astengono e 23 risultano assenti (mancano poi in 70 al voto finale, che viene disertato da ben 130 deputati). Il Cavaliere, da parte sua, pur non condividendo “diverse cose” della manovra e pur ammettendo di aver dato il suo ok a quei parlamentari del Pdl che gli chiedevano di votare ‘no’, assicura “sostegno leale” all’esecutivo. Ma non garantisce, questo proprio no, che Monti arriverà a fine legislatura.

“Questa fase non è il nostro orizzonte, che è invece un appuntamento elettorale”, dice per la prima volta anche Pier Luigi Bersani, pur assicurando il sostegno del suo partito al governo fino a fine legislatura. Il segretario del Pd, che in Aula riesce a serrare i ranghi (nessuna astensione o voto contrario), non può infatti non tenere conto del malcontento dei suoi su pensioni e mancate liberalizzazioni. Ed esprime quelle istanze chiedendo a Monti che i “sacrifici” siano accompagnati da “equità e cambiamento”. Chi si erge a paladino del governo è ancora una volta il Terzo polo.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui