“Dopo la caduta nel secondo trimestre, il Pil italiano è stimato debole anche nel terzo e le attese sul quarto non sono migliori: al calo di industria e costruzioni si affianca la battuta d’arresto nei servizi. Non si fermano i rialzi dei tassi Bce, il credito è in caduta insieme alla liquidità, il costo dell’energia torna a salire. Ne risentono consumi e investimenti, mentre latita la domanda estera”. Lo scrive Confindustria nella congiuntura flash disegnando un quadro a tinte fosche. Nel 2023 sta proseguendo il veloce rialzo dei tassi di interesse, iniziato lo scorso anno. L’effetto auspicato dalla Bce è un raffreddamento della domanda interna, cioè investimenti e consumi (che già si osserva), nel tentativo di ridurre l’inflazione. Per le famiglie, questo avviene facendo lievitare la spesa per interessi sui prestiti, anche quelli già in essere, in particolare i mutui per l’acquisto di un’abitazione; a ciò si sta associando anche un freno all’erogazione di nuovi prestiti. Lo sottolinea Confindustria nella congiuntura flash. La stretta sui tassi ha un impatto considerevole soprattutto sulle famiglie che hanno mutui casa. L’aumento dei tassi è di +2,84 punti percentuali fino a luglio 2023, lo stock di mutui è di 425 miliardi di euro, di cui vanno considerati solo quelli a tasso variabile, stimati al 38% del totale (162 miliardi). Risulta un aggravio di interessi annui pari a +4,6 miliardi, in aggregato. Che pesa da subito, nel 2023, dato che le rate sui mutui variabili si aggiornano mese per mese. Il maggiore onere connesso all’aumento degli interessi è abbastanza concentrato, perché riguarda solo le famiglie che hanno comprato casa con un mutuo variabile, una quota che è stimata pari al 4,9% delle famiglie italiane (1,2 milioni, su 25,6 totali). Cioè i 4,6 miliardi di interessi in più nel 2023 sono pagati solo da queste famiglie, per le quali i maggiori tassi corrispondono a +3.683 euro di interessi nell’anno (+307 al mese, un aumento consistente della rata per una famiglia con un mutuo residuo medio di circa 130mila euro). Non si tratta necessariamente di famiglie povere: in Italia l’affitto è più diffuso tra le famiglie a minor reddito, mentre la proprietà e quindi il mutuo è più diffuso tra quelle a maggior reddito.