Almeno in Forza Italia, unico partito della coalizione civica che si è presentato alle comunali sotto le mentite spoglie di Aversa Azzurra, ci si sarebbe aspettato la predominanza della politica, nel senso nobile del termine, rispetto ai personalismi riconducibili allo slogan evergreen “Tengo famiglia”. Invece anche tra gli epigoni locali di Antonio Tajani si sta prepotentemente diffondendo un virus pericoloso per la democrazia, interna ed esterna, quello del familismo. La riprova arriva dalla voglia matta del coordinatore cittadino Gianpaolo Dello Vicario di far parte ad ogni costo della nascitura giunta griffata Franco Matacena. L’ambizione del numero uno azzurro normanno, se legittima sul piano individuale, è decisamente fuori luogo sotto il profilo politico. Forza Italia ne uscirebbe a pezzi. Questo lo scenario: Gianpaolo Dello Vicario indicherebbe assessore sé stesso. In assise siederebbe il fratello Luigi, oltre a Ciccio Di Virgilio, mentre tutti gli altri componenti del partito, che alle elezioni si sono candidati, verrebbero tagliati fuori. Insomma Forza Italia di Aversa diventerebbe un affare di famiglia. Si dovrebbe chiamare Forza Dello Vicario. Un’ipotesi del genere avrebbe gravi ripercussioni anche sull’immagine di Franco Matacena e della maggioranza. In campagna elettorale, ai microfoni di Italia Notizie, il sindaco tuonò: “La famiglia Bisceglia vuole rimettere le mani sulla città”. A quanto pare l’unica famiglia che vuole fare il bello e il cattivo tempo è quella Dello Vicario. Per coerenza, e siamo convinti che ne abbia, il primo cittadino dovrebbe stoppare il blitz familistico di Gianpaolo e Luigi. Anche gli alleati hanno l’obbligo di porre sul tavolo delle trattative per il nuovo esecutivo una questione di opportunità. La parola d’ordine propagandistica della coalizione civica è stata “rinnovamento”. È questo il rinnovamento che intendevano? Per giunta di alto profilo è questo che voleva significare Matacena? Questa è la discontinuità della nuova amministrazione comunale?

Stefano Di Grazia

“Le parole sono importanti”, direbbe Nanni Moretti. E le parole, se esiste ancora la categoria della serietà, valgono sempre. Anche, forse soprattutto, quando si assumono gli impegni politici. L’impegno di Gianpaolo Dello Vicario era quello di fare spazio, dopo il voto anche ai candidati non eletti. Non può smentirlo. Ci sono testimoni autorevoli che lo sbugiarderebbero. È vero o no che Stefano Di Grazia, rimasto fuori dal consiglio per una manciata di voti, doveva essere ripescato in assise o in giunta? Primo accordo. È vero o no che sul tavolo delle trattative per comporre l’esecutivo Forza Italia avrebbe dovuto fare due nomi, quello di Gianpaolo Dello Vicario e quello di Stefano Di Grazia? Secondo accordo. Nessuno dei due impegni è stato mantenuto. Luigi Dello Vicario non vuole dimettersi. Uno, perché impedirebbe al fratello di entrare nel team di governo. Due, perché l’obiettivo è la doppietta in famiglia. Ancora più grave è il tradimento sulla rosa dei nomi azzurri da proporre a Matacena. Gianpaolo Dello Vicario ha sempre avanzato sempre e soltanto il proprio nome considerando Di Grazia come lo scemo del villaggio. Si chiama politica, si legge scorrettezza. Ma l’operazione raggiro non andrà in porto senza spargimento di sangue. Di Grazia ha indossato elmetto e armatura. Si farà valere ad ogni livello, politico e istituzionale. Il caso Aversa è già arrivato ai vertici provinciali e regionali di Forza Italia. Lo storico esponente azzurro, membro del comitato provinciale, non chiede altro che il rispetto degli impegni. Non è una battaglia personale. Il partito è destinato a scomparire se si ripiega su posizioni familistiche. Condurrà una guerra senza quartiere all’interno di Forza Italia. Non si illudano gli opportunisti della politica. Di Grazia non abbandonerà gli azzurri. In gioco non è la sua carica di consigliere o assessore, in ballo c’è il futuro del partito, all’interno del quale chi ci ha messo la faccia non può e non deve essere trattato come l’ultimo arrivato. Vedremo come andrà a finire. Per ora Gianpaolo e Luigi Dello Vicario non vogliono fare spazio a nessuno. E rispolverano un famigerato motto: “A noi!” E basta, sarebbe il caso di dire.

Mario De Michele

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