BENEVENTO -Ci voleva il governo Monti per celebrare il funerale definitivo della Provincia di Benevento. Ma in effetti, a pensarci bene, il suo funerale la Provincia sannita se l’era già organizzato manu proprie da anni, spending review a parte.

Capisco tutte le ragioni strategiche, capisco gli interessi d’area, gli interessi della politica, ma è tempo di mettere in discussione la strategia di fondo: se facciamo un bilancio onesto e complessivo sull’utilità della Provincia di Benevento nell’ultimo ventennio, davvero conviene a noi, alla popolazione sannita, battersi per mantenere ancora in vita questa istituzione? La Provincia di Benevento è una piaga sanguinante da decenni. Da tempo l’Ente provinciale si è staccato dalla realtà e dai bisogni dei suoi cittadini. Il calo della sua credibilità istituzionale è iniziato già da alcuni anni, sotto il peso di scelte politiche  sbagliate, la creazione di enti sub provinciali “fantasma” inventati solo per aumentare poltrone e prebende. In questi anni il ricorso a continue consulenze e nomine di chiara impostazione clientelare, poi, ha creato intorno all’Amministrazione Cimitile un clima di ostilità e di disinteresse, lo stesso clima che si è respirato nell’ultima riunione con i presidenti delle province, anch’esse destinate alla soppressione, voluta da Cimitile per salvare il salvabile. Ma c’è poco o nulla da salvare, perché, quella sannita, era e resta, una istituzione asfittica, senza linee guida per un vero sviluppo del territorio, priva di adeguata politica industriale e soprattutto di una guida al vertice (totalmente estranea alla realtà sannita) capace di proporre cose nuove e di concreta rispondenza alle domande della gente.

E allora? Se dovessimo rispondere a pelle o di stomaco direi: quale occasione migliore della spending review per riflettere sull’effettiva utilità dell’Ente Provincia, per ripensare il nostro territorio, per staccarsi definitivamente dalla regione Campania; è giunto finalmente il momento di mandare al diavolo Napoli e il suo napolicentrismo. Perché, da sempre, la chiave del problema per il nostro territorio così come per le aree interne della Campania è a Napoli. Ma oggi, finalmente, grazie al Governo Monti, abbiamo le chiavi, oggi possiamo uscire dalla porta principale della Campania, non dalla finestra, senza rischi.

Oggi la soluzione è a portata di mano, e a mio avviso è una e soltanto una: non l’aggregazione con l’Irpinia o peggio ancora con il casertano come vorrebbero alcuni; non l’accorpamento di nuove realtà comunali confinanti, come auspica il presidente Cimitile, sperando, così, di raggiungere il numero magico di 350.001 che garantisca la sopravvivenza dell’Ente e mantenga, quindi, lo status quo; ma costituire una nuova realtà territoriale col coinvolgimento diretto della regione Molise. È un’illusione. Sì, ma l’alternativa qual è? Fingere che nulla sia accaduto, assistere inermi alla scomparsa definitiva del Sannio, affondare indecorosamente per non cambiare ispirazione e squadra?

Secondo me, non abbiamo a portata di mano una seconda soluzione. Ma bisogna mettersi al lavoro subito. Perché il Molise è già al centro di vari progetti, tra cui l’aggregazione di alcuni comuni dell’Alto Sangro, o la riaggregazione dell’intera regione all’Abruzzo.

Ben venga, allora, il referendum per l’istituzione del Molisannio.

Se non ora, quando?

Perché oggi esiste un movimento bipartisan, esistono comitati di cittadini che sostengono l’istituzione della nuova regione. Anche singoli comuni dell’alto casertano, dell’avellinese e del foggiano si sono mostrati interessati all’aggregazione al Molise per protesta contro le politiche della regione Campania.

Mettiamoci al lavoro. Il referendum è la soluzione. C’è un’estate intera per fondare il nuovo o finire nel nulla.

 

 

Raffaele Pengue

Coordinatore della Valle Telesina (Grande Sud)

 

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