Altri 3 detenuti sono morti negli ultimi giorni e si aggiungono all’interminabile lista delle “vittime di un sistema penitenziario sempre meno capace di tutelare la vita e la salute delle persone che dovrebbe ‘custodire’: 6 da inizio agosto, 100 da inizio anno”. Lo segnala l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere che rileva anche come l’età media dei detenuti morti era di 39 anni, nonostante ciò i 2/3 di loro sono morti per “cause naturali”, il restante terzo si è suicidato.

Le ultime tre vittime di questa “strage impunita” sono due stranieri e un italiano. Il primo si chiamava Costa Ngallo, nato in Rwanda nel 1962, detenuto a Rebibbia per scontare una pena residua di circa 4 anni. Cardiopatico e dializzato, nel 2011 aveva ottenuto la detenzione domiciliare, ma non aveva un alloggio: avrebbe avuto bisogno di una struttura di accoglienza che si potesse occupare di lui anche dal punto di vista sanitario. La struttura non si trova, così rimane in carcere. “Tre volte la settimana veniva condotto, con scorta della Polizia penitenziaria (3 agenti), all’Ospedale “Pertini” per sottoporsi alla dialisi: in 15 mesi più di 200 “traduzioni” – dice l’Osservatorio – con costi di decine e decine di migliaia di euro… che avrebbero potuto essere spesi per reperirgli un alloggio e forse salvargli la vita”. L’8 agosto, durante l’ennesimo viaggio al “Pertini”, Costa Ngallo muore. Il secondo detenuto morto si chiamava Cheung Rhee He, nato in Corea nel 1964, detenuto nel carcere di Sollicciano per scontare una pena residua di 10 mesi. Non aveva parenti in Italia, aveva ripetutamente chiesto il trasferimento in un carcere a Roma, per poter avere colloqui con i famigliari attraverso l’Ambasciata. Nelle scorse settimane aveva anche iniziato uno sciopero della fame, a sostegno della richiesta. “Era sottoposto ad osservazione psichiatrica e in cella di isolamento. A fine luglio, l’ultima visita dello specialista avrebbe confermato che le sue condizioni non destavano preoccupazione: la sera del 4 agosto Cheung si impicca alla branda a castello”. Un agente lo vede dallo spioncino, ma non ha le chiavi per aprire la cella e, mentre va a recuperarle, il detenuto cade dalla branda dove stava cercando di appendersi, batte la testa sul tavolo e muore. “Suicidio o ‘incidente’?”chiede l’Osservatorio. L’ultimo detenuto si chiamava Luigi Didona, nato in Provincia di Caserta nel 1963, detenuto del carcere di Borgata Aurelia a Civitavecchia (Rm). Era in carcere per reati legati al suo stato di tossicodipendenza e in condizioni di salute molto precarie, tanto che giovedì 2 agosto il magistrato gli riconosce l’incompatibilità con la detenzione, disponendone la scarcerazione. Il provvedimento gli doveva essere notificato entro le 24 ore, ma Luigi Didona muore prima. Mentre pranza in cella si strozza con un pezzo di carne: essendo senza denti, cercava di inghiottirlo intero. Viene soccorso, ma muore in Ospedale per arresto cardiaco da soffocamento. “Riguardo alle dinamiche che hanno portato Didona alla morte la direzione del carcere dichiara: ‘un incidente che può capitare a chi ha problemi psichici. Era così povero che, pur non avendo più i denti, non si era potuto permettere una dentiera. Aveva 49 anni, non era anziano, ma viveva una situazione di disagio assoluto'”.

 

 

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