di Angelo Golia Ho passato la mattinata del Primo Maggio, Festa dei Lavorati, alla ricerca di qualcosa per cui festeggiare questa giornata istituita per ricordare l’avanzamento dei diritti dei lavoratori ma che, come ogni ricorrenza, ha smarrito il proprio spirito originario per trasformarsi in un rito quasi privo di significato. Il Primo Maggio è stato mortificato da decenni di accordi sindacali al ribasso, dalla riforma Fornero, dai tassi di disoccupazione inaccettabili, dalla precarietà, dalla povertà, dai negozi aperti.

Ho scorso, in rapida rassegna, le manifestazioni ufficiali dove, chi ha prodotto il progressivo arretramento e lo smantellamento delle conquiste del movimento operaio italiano, oggi, cerca di trasformarsi nel paladino del diritto al lavoro, rimediando anche qualche sonora contestazione come nel caso del corteo di Torino.

Ero quasi in preda allo sconforto quando smanettando su internet leggo la notizia che gli operai della Italcementi di Sassari sono saliti sul tetto del duomo perché, dopo aver perso il lavoro, attendono, da mesi, di esser ricollocati in altre aziende. Vado avanti nella rassegna quotidiana e scopro che ci sono i lavoratori delle cooperative in lotta, il picchetto dei negozi aperti a Roma. Nel pomeriggio ci sarà la Mayday di Milano, il corteo a Bagnoli.

Scene di lotta di classe, si sarebbe scritto in altri tempi. Scene, sempre più diffuse e che bisognerebbe raccontare con maggiore assiduità nella speranza che l’attuale classe politica, sempre chiusa e arroccata nei palazzi del potere, si renda conto che c’è un paese reale, ridotto allo stremo ma che non si rassegna.

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