Nuovo appuntamento della Rassegna di Teatro a Cappello Sciapò ideata da Domenico Santo. Domenica 16 febbraio (ore 19.00) al Teatro Civico 14 di Caserta andrà in scena Ladyoscar spettacolo di Ferdinando Vaselli interpretato da Alessia Berardi e Riccardo Floris. La scena è un luogo fuori dalla città, ai margini. Intorno erbacce e terra, terra ed erbacce. Sopra volano gli aerei.
Coso e Cosa stanno a guardare. Sono fidanzati, entrambi tossici di coca. Sono evidentemente due loser, due perdenti. Tentano di muoversi, di scappare via ma sono bloccati. Stanno aspettando lo spacciatore. Stanno quasi aspettando di vivere. Ma non hanno nessuna voglia di decidere, o nessuna forza. Ragazzi ingabbiati che conoscono solo il consumo, come i manifestanti di Londra che rompono vetrine per prendere le Nike, l’Iphone, che gridano la loro rabbia sorda, ottusa, disperata per un oggetto. Un prodotto del mercato globale. Come la cocaina, collante della loro relazione, ma anche metafora del tempo presente. Una droga fatta apposta per una società dove prevale il singolo che urla, che scalcia, che si fa largo a forza di gomitate, una società regolata solo dal profitto o perlomeno dall’illusione del possedere. Una droga per essere dentro e non per stare fuori. Prima la coca era la droga dei ricchi. Adesso è di tutti. La prende il muratore, la prende l’avvocato, la prende l’immigrato, la prende il politico, il giudice, il cassiere del supermercato, il dottore e l’infermiere, il ladro e il poliziotto, il professore e l’allievo. La coca non ha colore politico. La coca è democratica.
Lo spettacolo parte da una visione iper-realistica attraverso un percorso che mette insieme lo studio sulle improvvisazioni fisiche e una scrittura drammaturgica costruita sul lavoro dell’attore e che si sviluppa da interviste effettuate da Vaselli. All’interno di una scena quasi nuda i due attori si muovono come dentro ad un guscio che sembrano non voler rompere, dove si alternano sfoghi di rabbia e lampi comico surreali, con un linguaggio che partendo dal romano di periferia crea una lingua sporca, grezza, poetica, intensa. Lunghi monologhi vomitati si alternano a giochi ritmici di parole che si trasformano quasi in suoni. Ma innanzitutto Ladyoscar è un gioco di coppia in un interno poco borghese. Coso e Cosa si trovano in un limbo, in un luogo dove vedono passare gli aerei, sono presi dai loro rituali fatti di inutili litigi continui, di squarci di violenza improvvisa, di altrettante improvvise risate. Sono rinchiusi nel loro guscio da cui ogni tanto tentano di uscire. Senza la volontà di riuscirvi. Non sembra accadere quasi nulla fino a quando lei si sente male.
«Un paio di anni fa, un lavoro sulle interviste legate al quartiere fatte in collaborazione con il teatro Quarticciolo, mi aveva portato a raccontare la periferia romana nel presente. Una racconto difficile perché pieno di infinite differenziazioni in cui l’identità del quartiere, della borgata, si perde in cui le identità si trasformano, si sovrappongono fino quasi a confondersi. Edifici enormi, villette a schiera, case dell’Ater, centri commerciali, campi rom, aziende, resti romani abitati e vissuti da anziani, studenti, professionisti, immigrati, pendolari, insegnanti. Un luogo quasi indistinto, ma che è e rimane ai margini. In uno di questi luoghi Coso e Cosa guardano passare gli aerei. Aerei low cost, come quelli della RyanAir, che loro potrebbero prendere ma non hanno la forza e forse la volontà di farlo. Guardano un altrove ma sembrano fare di tutto per non attraversarlo, neppure inseguirlo. Lo vagheggiano solamente. La storia è ambientata a Roma ma potrebbe essere ovunque, perché la periferia della capitale è la metafora della provincia e l’Italia è un’immensa provincia di un impero dove il centro non si sa dove sia. Si sa solo che è altrove. Il lavoro parte dall’ascolto di storie di tossicodipendenza di adolescenti e giovani. Attraverso la collaborazione di ASL e Associazioni sono state raccolte testimonianze e realizzate interviste. Il lavoro parte da queste suggestioni. Ma non ha nessuna volontà di assumere una funzione didattico-educativa. La cocaina diventa una metafora per raccontare il presente, per raccontare una serie di generazioni che non riescono a crescere, che non riescono e forse non vogliono trovare una propria collocazione nella società.» (Ferdinando Vaselli)