Le liste d’attesa nelle Asl e negli ospedali sono tradizionalmente lunghissime. La recrudescenza della pandemia ed il continuo aumento dei ricoveri per Covid-19 – sia nelle terapie intensive che nei reparti di degenza ordinaria – stanno determinando fatalmente tempi sempre più dilatati. Recarsi in una struttura pubblica, anche per un banale intervento o per una visita di routine, diventa in certi casi un’utopia. E così, per molti pazienti, l’unica soluzione è il ricorso ai privati. Una tendenza che in Campania è molto diffusa, frutto di una disaffezione sempre più radicata per Asl e ospedali pubblici. Lo conferma una recente indagine di un team di specialisti, secondo cui, negli anni scorsi, le prestazioni di specialistica ambulatoriale sul territorio regionale sono state erogate in larga parte dalle strutture private accreditate. E la ripartizione delle prestazioni, tra pubblico e privato, risulta sbilanciata a favore dei secondi, in controtendenza con altre regioni italiane. Sono gli esiti di un’indagine effettuata sulla “determinazione del fabbisogno assistenziale nella macroarea della specialistica ambulatoriale per gli anni 2018 e 2019”. Sulla prevalenza dei privati, rilevata nello studio, non risulta ancora, almeno per ora, una sostanziale inversione di tendenza negli anni successivi. Ed, anzi, l’affollamento dei nosocomi, determinato dall’emergenza Covid, sembra destinato ad accentuare ulteriormente il fenomeno. Il documento che attesta il massiccio ricorso alle strutture private, già negli anni compresi tra il 2016 e il 2019, è stato redatto per conto del commissario ad acta, nominato dal Consiglio di Stato, in attuazione di una sentenza, che disponeva la determinazione dei fabbisogni attualizzati per la specialistica ambulatoriale, a causa del mancato adempimento da parte dell’amministrazione regionale.

Proprio dalla mancata pianificazione, secondo i sindacati di categoria, deriverebbe la netta prevalenza delle prestazioni erogate dai privati. «La Campania – sottolinea il segretario generale di Fp-Cisl Lorenzo Medici – è l’unica Regione che non è riuscita a determinare i fabbisogni assistenziali. La mancata programmazione fa sì che a fine anno si arrivi senza aver fissato i fabbisogni sanitari assistenziali. E così gli utenti si trovano alle prese con liste d’attesa lunghissime nelle strutture pubbliche. A quel punto, l’unica soluzione è quella di recarsi dai privati, con tutti gli oneri che questo comporta per i cittadini». Ed è proprio questa, a giudizio dei sindacati, la tendenza che prevarrà ancora nei prossimi mesi, con le strutture pubbliche sempre più intasate e, di fatto, inaccessibili per la maggioranza dei cittadini. Una tendenza che si era delineata già nel periodo precedente la pandemia. Dallo studio sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale prima del 2020, si ricavano alcuni dati rilevanti. E i risultati si rivelano piuttosto sorprendenti, soprattutto per il confronto con un gruppo di altre sei regioni. «Emerge una differenza notevole – si legge nella relazione – nella tipologia di struttura che eroga la prestazione. Osservando le regioni, è evidente come, stratificando le prestazioni per tipologia di struttura, le strutture pubbliche sono quelle che erogano la quota maggiore di prestazioni; in alcuni casi, come ad esempio l’Umbria, le strutture pubbliche erogano la quasi totalità di prestazioni, lasciando alle strutture private una quota molto esigua». La stessa supremazia delle prestazioni erogate dal pubblico si riscontra in Emilia Romagna, in Veneto e in Piemonte.
«Al contrario, nella Regione Campania – spiegano i tecnici – si osserva una controtendenza, dove la stragrande maggioranza delle prestazioni è erogata da strutture private». Dai grafici che riguardano la Campania, balza all’occhio la differenza, con le strutture pubbliche che quasi scompaiono dal quadro. «C’è una grave anomalia- riprende Medici di Fp Cisl- riguardante la ripartizione delle prestazioni tra pubblico e privato accreditato, sbilanciata a favore dell’accreditato. Tale sbilanciamento comporta una ricaduta sull’utente finale che finisce con l’essere un cittadino di serie B, perché costretto a trovare soluzioni alternative per l’assistenza, senza poter scegliere. Ci sono tanti laboratori pubblici, ad esempio, che non lavorano. Le somme sull’accreditamento ai privati sono progressivamente aumentate negli ultimi anni, come si evince chiaramente dai bilanci».

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