Il contratto di lavoro siglato da Fiat per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, poi, con alcune modifiche, esteso a tutto il gruppo, segna “la fine della rappresentanza sindacale”. E’ quanto si legge nel blog di Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, che non e’ intervenuto alla presentazione della nuova Panda nello stabilimento del napoletano. “Oggi e’ un giorno importante perche’ si ufficializza l’inizio della produzione del nuovo modello Panda a Pomigliano, frutto anche delle battaglie condotte nei mesi scorsi dalle lavoratrici e dai lavoratori – scrive de Magistris – Pomigliano dunque non chiude e resta un centro produttivo. Eppure non e’ certo un giorno di festa per il mondo del lavoro e per la democrazia: sempre oggi, infatti, si celebra la fine del Contratto collettivo nazionale e la fine della rappresentanza sindacale.

Il modello contrattuale di Pomigliano, quello che comprime i diritti e pone il piu’ grande sindacato metalmeccanico (Fiom) fuori dalle fabbriche, da ieri e’ stato esteso a tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat e fara’ scuola anche dal punto di vista generale, cercando di essere imposto erga omnes a tutto il mondo dell’occupazione. Si offende la storia del Novecento, le battaglie delle lavoratrici e dei lavoratori per il riconoscimento dei loro diritti, per celebrare il ritorno ad un Ottocento schiavista. Per queste ragioni, oggi non partecipero’ alla presentazione ufficiale presso lo stabilimento Gian Battista Vico. Anche perche’ continuano a mancare garanzie occupazionali certe da parte dell’azienda in merito al reale numero degli assunti, anche perche’ continuano ad essere denunciate pratiche discriminatorie e repressive verso le lavoratrici e i lavoratori che appartengono ad ‘alcuni’ sindacati. Non ci saro’ per coerenza politica, visto che nei giorni ‘caldi’ del referendum-estorsione mi sono schierato al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici in lotta, che non volevano cedere al ricatto imposto dalla Fiat con quella finta consultazione: la scelta tra disoccupazione e lavoro in cambio dell’autorinuncia ai propri diritti. Una battaglia che comunque, anche allora, non si tradusse mai nella critica verso quanti, comprensibilmente, votarono l’intesa temendo di essere mandati a casa. Ma oggi si deve essere responsabili, anche rispetto alle generazioni future, e denunciare chiaramente l’epocale svolta che si sta realizzando. La morte della democrazia nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro. E quando la democrazia muore nelle fabbriche, cioe’ nel mondo del lavoro, muore anche nel paese. E questo non puo’ essere celebrato, questo non puo’ essere consentito”.

 

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