NAPOLI – “Ormai siamo diventati oggetto di ogni genere di accusa e contumelie. Manca soltanto l’omicidio, ma forse no. Perché a parole ci chiamano brigatisti e quindi assassini”. Lo dice in un’intervista alla Stampa il procuratore di Napoli Giandomenico Lepore all’indomani delle parole di Berlusconi

su “schegge impazzite che puntano all’eversione” nella magistratura e dell’interrogazione dei capigruppo Pdl al ministro della Giustizia Palma sulle procure di Milano, Napoli e Bari. Lepore respinge in particolare le accuse rivolte alla procura partenopea nell’ambito della vicenda Lavitola-Tarantini, rea secondo gli interroganti di aver fatto violare il segreto professionale ai “difensori di un indagato”. “E’ quasi offensivo e deprimente – spiega Lepore – dover dare l’impressione di doversi discolpare. Noi non abbiamo violato codici e Costituzione. è stato il giudice per le indagini preliminari a prendere la decisione di valutare domanda dopo domanda l’esistenza di un problema di violazione del segreto proessionale”. “Tanto che siamo stati corretti – aggiunge -, che il Tribunale del Riesame, un collegio composto da tre magistrati, ha inviato tutto il fascicolo alla Procura di Bari, per competenza. Nessuno si è opposto. Anzi le parti offese, il presidente del Consiglio, e le difese degli indagati non hanno fatto mistero che contestavano a Napoli la competenza territoriale. Hanno esultato quando il gip ha deciso che fosse Roma a indagare”. “Dal primo momento – prosegue – abbiamo sostenuto che il luogo della competenza era discutibile”.

 

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