Le sentenze vanno rispettate. Non vi è dubbio. E Marcello De Rosa, condannato a tre anni per induzione al falso in atto pubblico la rispetta: “Da uomo delle istituzioni, ancora una volta e come ho sempre fatto, non posso che manifestare piena fiducia nell’operato della magistratura”. È altrettanto legittimo, in una democrazia matura, opporsi per dimostrare la propria innocenza in secondo grado o perché non si condivide la quantificazione della pena. “Ciò non vuol dire – precisa il sindaco di Casapesenna – non nutrire profondo rammarico e sorpresa per il tenore della decisione della quale leggerò con i miei difensori le motivazioni, appena disponibili, e che certamente impugnerò per far valere le mie ragioni, nella piena convinzione della loro fondatezza tecnica e politica”. Si può e si deve, se si ha la coscienza a posto, rivendicare le proprie scelte. “Ho agito sempre ed esclusivamente nell’interesse della comunità che rappresentavo all’epoca e che rappresento ancora oggi, ritenendo di averlo fatto nel pieno rispetto delle regole”, osserva De Rosa. Che aggiunge: “Le iniziative politiche ed i risultati conseguiti in questi anni sono sotto gli occhi di tutti. Su questo continuerò a concentrare la mia attenzione e le mie forze con l’appoggio ed il sostegno della maggioranza dei cittadini che, confidando nella mia persona e nel mio operato, hanno l’unico obbiettivo di risollevare e riscattare la nostra martoriata e vituperata cittadina”. Infine è sacrosanto non mollare perché i processi non si celebrano sugli organi di informazione e perché, Costituzione e codice penale alla mano, si è innocenti fino a condanna definitiva. “Non cederò allo sconforto – rimarca il sindaco di Casapesenna – e, soprattutto, non consentirò che la evidente strumentalizzazione (già in atto) di una decisione di primo grado, possa distrarre o, peggio, condizionare me e la mia amministrazione dalle sfide che stiamo affrontando, certo di giungere nelle sedi opportune al pieno chiarimento di quanto accaduto 8 anni fa. Tra un percorso giudiziario burrascoso e i cittadini ho scelto i cittadini! E – conclude De Rosa – continuerò a farlo. Sempre dalla stessa parte, quella della collettività”. Benissimo. Questa è la faccia giudiziaria della medaglia. Poi c’è quella, parimenti importante, anzi molto più pregnante, che riguarda l’avvio del procedimento. Il primo cittadino casapesennese nel 2015 è finito sotto processo per violenza privata. Ai danni di chi? Dell’allora consigliere di maggioranza Sebastiano Cilindro, imparentato con persone considerate legate al clan di Michele Zagaria, per anni vero padrone della città. Puta caso il sindaco di Casapesenna non avesse chiesto le dimissioni di Cilindro cosa sarebbe avvenuto? “Marcello De Rosa fiancheggia la camorra”, avrebbero spifferato ai quattro venti tutti i suoi nemici giurati. È d’uopo fare un passo indietro. Per oltre 3 anni i magistrati antimafia hanno rivoltato come un calzino il sindaco Marcello De Rosa. Hanno condotto un’indagine certosina e impegnativa per verificare se ci fossero legami tra il primo cittadino di Casapesenna e la camorra. Hanno redatto un fascicolo di 600 pagine lavorando sodo. Lo hanno fatto seriamente. Con grande senso del dovere. Come si fa in una nazione civile dove la giustizia non va confusa con il giustizialismo e il principio di presunzione di innocenza non viene sovvertito da quello di presunzione di colpevolezza. Anno 2019: cosa è emerso alla fine dell’inchiesta a carico di De Rosa condotta dalla Dda di Napoli? Lui e i clan sono agli antipodi. Mai avuto rapporti con boss o affiliati. Nessun condizionamento sull’azione politica o amministrativa. Nulla di nulla. È stato assolto dai magistrati anticamorra. Una medaglia che nessuno gli potrà mai più strappare dal petto. In tanti hanno rosicato. Hanno masticato amaro. La macchina del fango si era inceppata. I professionisti dell’antimafia e i finti legalitari sguazzano nell’anticamera del sospetto. Odiano la verità. Ma di fronte all’archiviazione della Dda sono stati costretti ad alzare bandiera bianca. Quella sconfitta cocente ha però lasciato il segno. Non è mai stata digerita. E oggi, gli stessi professionisti dell’antimafia e i finti legalitari che accusavano il sindaco di essere in odore di camorra, hanno festeggiato in anticipo la Pasqua. Ma la condanna per induzione al falso è tutta un’altra storia. Peraltro ancora da chiarire in Appello ed eventualmente in Cassazione. Quello che conta il succo: i clan e Marcello De Rosa sono come il diavolo e l’acqua santa. Ecco, questo è il nocciolo del caso Cilindro. Chiosa finale: i suoi detrattori l’hanno dimenticato o fingono di averlo dimenticato? A voi la risposta.

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