di Mario De Michele

Due aspetti in particolare sconcertano del caso Marco Vizzardelli, il giornalista, melomane e “loggionista” storico, identificato dalla Digos per aver urlato “Viva l’Italia antifascista” alla Prima della Scala di Milano. Il primo: l’intervento delle forze dell’ordine. Il secondo: la reazione di alcuni esponenti di spicco della maggioranza. Finché non sarà saccheggiata la Costituzione (speriamo mai) l’antifascismo resta un pilastro della nostra Carta, scritta dai partiti della Resistenza e fondata sui principi di democrazia, libertà, uguaglianza, giustizia e internazionalismo. Diritti ampiamente acquisiti dai cittadini (un po’ meno i doveri) che dimostrano ancora una volta come la società sia molto più avanti della politica. La destra, a suo agio ad agitare slogan securitari, quando è al governo mostra tutti i suoi limiti, storici e programmatici. Come confermano i sondaggi sulle priorità degli italiani, il Paese è preoccupato per la crisi economica. Nelle famiglie si fanno i salti mortali per arrivare a fine mese. I giovani sono rassegnati. Una donna su due non lavora. E dal Censis arriva una mazzata che dovrebbe far tremare i polsi: l’80% della popolazione ha una proiezione negativa del futuro. Incapace di dare risposte concrete alle problematiche che toccano la carne viva della gente Giorgia Meloni sposta il tiro utilizzando il vecchio armamentario dei partiti reazionari: la paura. Si agita lo spauracchio dell’immigrazione con soluzioni mirabolanti quanto inadeguate, se non ridicole (l’inutile accordo con l’Albania che ci costa 200 milioni l’anno). Ma quando si chiede alla premier di chiudere con il passato, di professarsi antifascista arranca: “Abbiamo già dato”. Dopo un’abbuffata di immigrazione Giorgia serve il secondo piatto: la sicurezza. Pietanza dal sapore antico. Un’arma spuntata perché le politica securitaria dell’esecutivo colpisce i più emarginati. La destra è forte con i deboli e debole con i forti (extraprofitti docet). Ed ecco il ricorso ai simboli per sfamare i nostalgici. L’intervento della Digos nei confronti di chi ha detto una cosa ovvia: “Viva l’Italia antifascista”. Come mai non sono stati identificati un gruppo di cittadini in un teatro in Friuli vestiti da militari della Wehrmacht? E perché Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato (antifascista), non dice a reti unificate di aver buttato in discarica i busti di Mussolini? (“li ho regalati a mia sorella”, sic!). Se in Europa la premier si smarca dagli estremisti di destra, in Italia mantiene accesa la Fiamma nel timore di perdere i voti di chi simpatizza con il Ventennio. Finché non reciderà il cordone ombelicale con la tradizione fascista la Meloni non potrà mai guadagnarsi i gradi di donna di Stato. Un obiettivo che non interessa a Matteo Salvini. Il leader del Carroccio deve sfamare la “Bestia” della propaganda. Pur di risalire la corrente di un partito fortemente ridimensionato alle ultime politiche sarebbe capace di qualsiasi nefandezza come quella di lasciare morire in mare bambini e donne incinte. E allora “Viva l’Italia antifascista”. Da gridare sempre e ovunque. È già pronta la carta di identità da esibire alla Digos.

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