L’ultima dichiarazione dell’ex presidente del consiglio ha lasciato parecchi commentatori interdetti. Berlusconi, infatti, venerdì scorso, ha dichiarato che per poter uscire dalla crisi che ci soffoca, l’Italia dovrebbe iniziare a stampare i suoi Euro.

Tralasciando le considerazioni sul suo contributo di quasi 20 anni di governo all’attuale situazione e sulle ovvie motivazioni di tipo populistico-elettorale (“se Beppe Grillo dice che bisognerebbe ripudiare il debito pubblico, io la sparo ancora più grossa dicendo di stampare euro in proprio”) che lo hanno spinto a fare una simile proposta, mi sembra che la cosa meriti un ragionamento più approfondito. In effetti, il rompicapo di fondo che si trovano ad affrontare i politici e i tecnici a livello europeo è proprio legato alla impossibilità di stampare euro in proprio: prima della moneta unica, ciascun paese controllava, seppure in modo indipendente e separato, le due leve della politica economica, ossia la politica fiscale e la politica monetaria. Ciò consentiva di calibrare la politica monetaria in modo più preciso alle esigenze delle diverse aree geografiche, omogeneizzandola per paesi col medesimo regime fiscale e legislativo (le singole nazioni) ancorché con aree più dinamiche economicamente (ad esempio il nord e il sud dell’Italia o l’est e l’ovest della Germania). Gli squilibri che non si riuscivamo a smussare con la politica fiscale o economica, venivano in qualche modo attenuati dalla possibilità di spostare la forza lavoro in modo abbastanza semplice da un punto all’altro dello stesso paese (si trattava pur sempre di “nazioni” che condividevano quantomeno la stessa lingua ). Dopo l’avvento dell’euro, con tutti i suoi vantaggi in termini di stabilità che esso ha consentito di ottenere, si è rinunciato proprio a questa capacità “minuziosa” di intervento a favore di un intervento più “grossolano” di dosaggio e composizione della politica monetaria. E’ come essere passati dall’acquistare i propri vestiti in una sartoria a comprarli già fatti in un grande magazzino: nel grande magazzino c’è una vasta scelta, una capacità di approvvigionamento molto efficiente, i prezzi sono molto competitivi, ma il vestito non calza sempre a pennello. In Europa, semplificando molto il ragionamento, al momento sta accadendo proprio questo, le diverse aree geografiche stanno attraversando fasi congiunturali molto diverse, alcune in espansione o addirittura accelerazione, altre in contrazione o addirittura in profonda recessione. A questi diversi momenti del ciclo economico e alle corrispondenti dinamiche inflattive, occorrerebbe una risposta più calibrata, visto che non c’è la possibilità di intervento “sartoriale” con una politica monetaria fai-da-tè come predica Berlusconi e, purtroppo, non si può nemmeno rispondere con emigrazioni di massa per spostare la forza lavoro dove è più necessaria, visto anche che, nonostante la libera circolazione, poche persone, per lo più molto istruite o specializzate, si avvalgono di questa straordinaria facoltà. D’altro canto, continuando il parallelo con la grande distribuzione moderna, la sfida maggiore del settore è proprio quella di aumentare il grado di soddisfazione della clientela, tenendo i costi bassi e variando continuamente l’offerta. Poiché nessuno si sognerebbe di competere in questo difficile mondo senza un’adeguata logistica, allo stesso modo è impensabile pensare di poter sostenere l’attuale situazione economica europea senza un adeguato supporto politico condiviso.

 

Il punto, dunque, è proprio questo: se non si vuole (e al momento nemmeno si può) tornare economicamente indietro di decenni, alla fase pre-euro o forse ancor prima, bisogna cercare di rimuovere gli ostacoli alla crescita uniforme in tutte le aree della Comunità Europea, che sono primariamente legislative e di cultura, prima che linguistiche. Non si può pensare di spostare milioni di persone da un paese all’altro in funzione del ciclo economico in brevi tempi e quindi si deve forzare la mano alle autorità politiche per un intervento di più forte integrazione politica, per uniformare il “terreno di gioco” economico. Una buona leva per perseguire questo scopo, potrebbe essere il lancio dei famosi Eurobond, che avrebbero il pregio non solo di alleviare immediatamente tutte tensioni sui debiti sovrani dei paese periferici della zona Euro, ristorando la confidenza e la fiducia nei mercati, ma spingerebbero anche in modo inesorabile verso una maggiore integrazione politica, realizzando finalmente il sogno di un’unica, grande Europa non solo a parole.

 

Riccardo D’Antonio

dantonio@campanianotizie.com

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