di Riccardo D’Antonio

Per quanto mi sforzi a trovare altri esempi originali, continuo ad imbattermi in metafore legate al traffico. Nel corso della settimana, infatti sono stato molto colpito da 2 episodi molto simili ma con conclusioni quasi diametralmente opposte.

Domenica pomeriggio,passeggiando per smaltire un lauto pranzo, assisto ad una scena non molto frequente in Campania: dei carabinieri fermano un ragazzo a bordo di una moto, senza casco. Mentre, ammirando la loro impeccabile tenuta, completa anche di occhiali specchiati da top-gun, mi chiedo se non ci sia un modo migliore per impiegare il tempo di una coppia di carabinieri, piuttosto che controllare chi indossa o meno il casco, assisto al controllo dei documenti, alla ramanzina di prassi e all’epilogo, che mi lascia di stucco: “vabbè, per questa volta vai…”.

Non che sia un forcaiolo o un patito di multe da affibbiare ai centauri, ma mi chiedo come sia possibile perdere del tempo (pagato dai contribuenti) a fare dei controlli e poi far finta di nulla una volta che si scopra una contravvenzione, per quanto irrilevante, alla legge. O forse si fanno i posti di blocco di domenica pomeriggio perché ci si potrebbe imbattere in uno sprovveduto narcotrafficante o altro efferato criminale ansioso di confessare i propri reati? Dopo aver vinto a fatica questi dubbi ed essere riuscito a prendere sonno, il giorno dopo, lunedì mattina, veniamo fermati da una pattuglia di polizia locale di un piccolo paesello sull’Appia, mentre ero in macchina con un mio conoscente, dopo che questi aveva effettuato un sorpasso un po’ azzardato.

I due solerti vigili urbani, molto somiglianti a due gabellieri dello sceriffo di Nottingham (a dire il vero mancavano loro solo la cappa e la spada), dopo aver minacciato immani sanzioni, per il “crimine” commesso, paventando ogni sorta di punizione dal ritiro della patente alle “centinaia di euro” di multa, confessano bellamente, che a loro interessa solo incassare “pochi (euro), maledetti e subito”, perché il comune ha bisogno di “liquidi” e, per giunta, irrogare sanzioni più pesanti implica un eccessivo lavoro da parte loro. Conclusione: si annotano le generalità del mio amico e gli consegnano un bollettino postale da pagare “al più presto” per un totale di 39 euro. Anche in questo caso resto basito.

Non che volessi il ritiro della patente al mio amico, ammesso che la legge lo preveda in quel caso (e ho i miei dubbi), ma allora la legge non è uguale per tutti? Qualcuno meno fortunato avrebbe avuto una sanzione più pesante? Qualcuno più fortunato se la sarebbe cavata, come il centauro di domenica, solo con una lavata di testa? Proprio questa incertezza credo sia un dei problemi fondamentali nell’Italia di oggi, specialmente nel campo economico e nel campo degli investimenti esteri. Infatti, senza addentrarmi nel campo penale o in altre questioni “etiche”, quale potrebbe essere il dilagare della corruzione nella nostra pubblica amministrazione, come si può pensare che investitori stranieri si sottomettano ad un sistema giudiziario, non solo bizantino, ma anche estremamente antiquato.

Un sistema, in cui invece di cercare di eliminare reati e casistiche bizzarre, la giurisprudenza e il legislatore continuano ad accumulare eccezioni o aggravanti (magari come reazione a qualche eclatante caso di cronaca). Un sistema, in cui invece di avere la certezza che la legge è uguale per tutti (magari solo con qualche minima distinzione legata al censo), si ha solo la certezza che quasi sicuramente due casi analoghi verranno trattati diversamente. Un sistema in cui si lascia più spazio al sensazionalismo giornalistico che alla sostanza dei fatti.

Questo tipo di organizzazione, di cui spesso sento parlare con fierezza, soprattutto in relazione alla sua modernità, mi lascia ogni giorno di più l’amaro in bocca: se un delinquente è fortunato non verrà mai scoperto (anche perché le risorse investigative vengono sfruttate in modo molto inefficiente, magari per controllare la viabilità urbana), se anche venisse scoperto, c’è sempre la possibilità di imbattersi in un inquirente indulgente (“per questa volta passi”) o troppo indaffarato in qualcos’altro (del resto non siamo il paese del “benaltrismo”?) per rinviarlo a giudizio e, infine, quand’anche venisse rinviato a giudizio, si potrebbe occupare del suo caso un giudice più “sereno” di un altro, che potrebbe non ravvisare gli estremi per una punizione severa, o tranquillamente lasciar scadere i termini per procedere.

In questo marasma, solo qualcuno particolarmente “sfortunato” o forse perseguitato riesce ad essere condannato. In ogni, caso sostituendo, nel discorso precedente, alla parola “delinquente” o “crimine”, la parola contratto non rispettato, si ottengono degli effetti devastanti dal punto di vista della crescita economica: come potrebbe qualcuno dotato di buon senso e una normale propensione al rischio, avventurarsi in un’impresa economica di qualunque tipo nel nostro paese? Se perfino la pubblica amministrazione si avvantaggia di questa situazione disastrosa, saldando i propri conti anche dopo 3-4 anni, alla fine restano in gioco solo le imprese e gli operatori economici più abili a districarsi in questo marasma e non quelli più efficienti, anzi magari gli unici a beneficiare di questa situazione sono proprio quelli a cui lo status quo fa più comodo (e ci sono decine di esempi dai palazzinari senza scrupoli a chi si occupa dello smaltimento illegale dei rifiuti).

Ho sentito diverse volte gli americani farsi beffe di noi dicendo che l’Italia è il paese in cui dopo 180 anni si dà una pena di 6 mesi, mentre in America si dà una pena di 180 dopo 6 mesi (caso Madoff). Ebbene, fintanto che non cambieremo il nostro modo medievale di amministrare la giustizia, non solo continueremo ad essere dei sudditi (e non dei cittadini) soggetti a continui soprusi, ma avremo anche ben poche speranze di uscire dall’attuale recessione. dantonio@campanianotizie.com

 

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