di Mario De Michele

Ogni limite ha una pazienza. Nel mondo all’incontrario di alcune Procure antimafia e dell’isteria mediatica bisogna ricorrere a Totò per raccapezzarsi. Cose da pazzi, surreali. Da far invidia al teatro dell’assurdo (Beckett e Ionesco si staranno mangiando le mani). E per comprendere l’incomprensibile dobbiamo appunto rifarci al Principe della risata,

l’unico che ci può guidare nel labirinto della farsa giudiziaria. Farsa tragicomica visto che va in scena sul palcoscenico della vita delle persone. Ma c’è poco da ridere e molto da piangere quando l’attività inquirente subisce la metamorfosi dell’accanimento giudiziario. Quando il Leviatano dello Stato etico sgomita e scalcia per travolgere lo Stato di diritto.

E se in passato il “teorema dell’accusa” – in alcune Procure – è diventato in molti casi l’unica verità processuale a discapito dei fatti prodotti dalla difesa, oggi si sta facendo strada il “teorema del delirio”. Stavolta l’epicentro dell’uragano giustizialista si è spostato da Milano a Napoli. Qui alcuni pm della Dda, secondo notizie apparse sulla stampa, starebbero elaborando una nuova ipotesi di reato: la colpevolezza a prescindere.

In cosa consiste? Io, pubblico ministero, cioè accusa, cioè una parte del processo (sulla carta l’altra è la difesa, mentre il giudice è super partes) decido che tu sei colpevole. E questo basta e avanza per spedirti in carcere ed esporti alla gogna mediatica dei giornalisti, di quei giornalisti detti di frontiera o anticamorra, ma che in realtà sono giornalisti della Procura napoletana, nel caso di specie.

Insomma, il principio costituzionale della presunzione di innocenza viene capovolto, lasciando il campo alla presunzione di colpevolezza. E il sospetto diviene l’anticamera della verità, mentre in un Paese civile dovrebbe essere l’anticamera della calunnia.

Il teorema del delirio ha preso corpo all’indomani delle sentenze della Cassazione, tutte sfavorevoli alle ipotesi-certezze di reato e alle misure cautelari-punitive avanzate dai pm partenopei a carico dei colletti bianchi: politici, imprenditori, professionisti. Gli insospettabili, insomma. Quella schiera – sempre più folta a causa di provvedimenti-condanna – divenuta famosa come zona grigia.

Per evitare di incappare anche noi nella sindrome del teorema (anti-magistratura), ricapitoliamo la cronaca giudiziaria degli ultimi 5 mesi e mezzo. Prendiamo in esame le inchieste contro politici e amministratori locali dell’Agro aversano. Un membro della casta è un boccone ghiotto, soprattutto per chi vuole scalare i gradini della magistratura o della politica, com’è avvenuto in recenti casi illustri (il pm della Dda napoletana Giuseppe Narducci è oggi assessore della giunta De Magistris).

E allora pugno duro. Maniere forti. E via alla caccia grossa ai politici. Come dimostrano, appunto, gli arresti a raffica degli amministratori locali di Gomorra, da metà novembre ad oggi. Ecco l’elenco dei nomi più famosi: Enrico Fabozzi, ex sindaco di Villa Literno e consigliere regionale; Cipriano Cristiano, ex primo cittadino di Casal di Principe; Fortunato Zagaria, sindaco di Casapesenna; ed Enrico Martinelli, sindaco di San Cipriano d’Aversa.

Per tutti (a parte Martinelli, ritenuto organico ai clan) l’accusa infamante di concorso esterno in associazione camorristica, più, in alcuni casi, altri presunti reati (non si offendano i pm se qualcuno in Italia usa ancora l’aggettivo presunto quando non c’è una condanna in via definitiva) finalizzati a favorire i Casalesi.

Quattro amministratori locali di primissimo livello. Tutti e quattro, guarda caso, che sono stati o erano al momento della cattura, alla guida dei Comuni che formano il quadrilatero della camorra casertana. Tutti e quattro scagionati dai giudici del Riesame o della Cassazione. Dai giudici del R-I-E-S-A-M-E o della C-A-S-S-A-Z-I-O-N-E, non da qualche pretore inesperto. Eppure, di fronte a insuccessi e sconfessioni così clamorose, i pm antimafia napoletani, sempre stando alle notizie di stampa, invece di nutrire qualche dubbio sulla bontà della loro attività inquirente, alzano il tiro. E tessono le trame del teorema del delirio.

Non è facile spiegarlo, è molto più semplice far comprendere quello di Pitagora a un alunno delle elementari. Ma si tratta più o meno di questo: gli intoccabili, i politici, starebbero dai palazzi romani indebolendo l’azione giudiziaria dei pm per difendere la casta. Come? Attraverso messaggi subliminali o azioni concrete – non si sa bene quali – che tenderebbero a cancellare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Un tentativo confermato anche da una lettera inviata da un anonimo a Michele Zagaria, nella quale – citiamo l’articolo di giornale – si legge che “anche zio Nicola dal loggione ha molto apprezzato e preso nota di tutto quanto ha sentito. Per le prove ha assicurato che anche in futuro ascolterà solo la norma fino a quando si abbassa il sipario e gli orchestrali si alzano in piedi”.

Che c…osa significa si chiederebbe una qualsiasi persona sana di mente. Tutto chiaro, invece, per i professionisti dell’antimafia: l’aria è cambiata, ora viene applicata la “norma” in maniera più favorevole ai clan. E giù fiumi di inchiostro per avallare il teorema del delirio dei pm napoletani: la politica tenta di ostacolare il lavoro della magistratura. Incredibile, ma vero. Anche se più che al teatro dell’assurdo siamo ormai all’avanspettacolo, con tanto di lustrini e paillettes.

Nel mondo all’incontrario di alcuni pm della Dda di Napoli e della follia mediatica si ipotizza, in sostanza, che anche i giudici del Riesame o della Cassazione potrebbero far parte della zona grigia. Perché assecondando i diktat della politica – non importa come e quando impartiti –, a difesa dei colletti bianchi collusi con i clan, favorirebbero le cosche. E come mai gli stessi giudici, proprio gli stessi, in molte altre inchieste hanno invece confermato le accuse dei pm? In quel caso la politica è stata a guardare e la Cassazione ha fatto giustizia?

L’arcano viene svelato applicando il teorema del delirio: se i giudici danno ragione ai pm sono onesti e svolgono bene il loro dovere; se, al contrario, annullano le ordinanze dei pubblici ministeri allora sono pilotati dalla politica. Come fare affinché la giustizia trionfi sempre? Lo dicono i pm della Dda di Napoli, all’indomani delle sentenze che bocciano tutte le inchieste sugli amministratori di Gomorra: introdurre un “preciso articolo” nel codice penale per descrivere e sanzionare i reati dei colletti bianchi, cioè il concorso esterno.

Basterà? Per sicurezza noi suggeriamo che il “preciso articolo” contenga anche un comma: le sentenze dei giudici, in tutti i gradi di giudizio, devono sempre essere in linea con le richieste dei pm, altrimenti scatta l’arresto. Dei giudici, ovviamente.

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