Nella giornata del 16 aprile 2020, il GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha depositato la motivazione della sentenza, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale ha condannato Valentino Di Cerbo, ex Vescovo della Diocesi di Alife-Caiazzo, nonché la sua perpetua, Rosa Cristina D’Abrosca, e il marito Giovanni Fevola, per il delitto di circonvenzione di incapace aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’abuso di relazioni domestiche, perpetrato in concorso tra loro ai danni dell’anziano sacerdote Giuseppe Leone, poi deceduto nel corso del processo. In particolare, Di Cerbo, abusando della propria autorità derivante dall’essere Vescovo della Diocesi di Alife-Caiazzo, Cristina D’Abrosca, abusando della sua qualità di aiutante domestica del Leone e Giovanni Fevola, marito della D’Abrosca e perfettamente consapevole delle mansioni svolte dalla moglie, al fine di procurarsi un ingente profitto, approfittando dello stato di deficienza psichica dell’anziano sacerdote Giuseppe Leone, le cui capacità di autodeterminazione e comprensione erano fortemente compromesse a causa della grave lacune mnesiche riscontrate, inducevano il predetto prelato a compiere movimentazioni finanziarie nonché atti traslativi di natura patrimoniale in loro favore, per un importo complessivo di 894.636 euro ciò avveniva in un breve lasso temporale, tra l’anno 2012 e l’anno 2013.

In un giudizio precedente, i due coniugi erano stati assolti dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dalle accuse mosse nei loro confronti in relazione all’appropriazione di ulteriori somme di denaro ai danni di Giuseppe Leone, ma le indagini successive relative ad altre condotte di circonvenzione contestate sia ai coniugi D’Abrosca- Fevola che al Vescovo Di Cerbo, hanno invece condotto alla condanna per tutti e tre i concorrenti nel reato. Il GIP ha, infatti, ritenuto pienamente convincente il materiale probatorio raccolto durante la fase investigativa dalla Compagnia dei carabinieri di Piedimonte Matese coordinati da questo Ufficio, nonché i risultati delle consulenze tecniche disposte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere sulle operazioni economiche poste in essere dagli imputati e sullo stato di salute psicofisico del sacerdote vittima del reato. Il parroco, infatti, versava in uno stato di demenza senile progressiva che ne aveva compromesso le capacità mnemoniche e ne aveva deteriorato quelle cognitive: le operazioni economiche dismissive del suo patrimonio sono state ritenute non avere altro scopo se non quello di arricchire i tre imputati, in contrasto con le reali volontà del sacerdote che, quando era nel pieno delle sue capacità, come accertato, aveva inteso destinare il proprio ingente patrimonio non agli imputati ma ad istituzioni benefiche (peraltro diverse dalla Diocesi di Alife). Non sono state invece ritenute credibili le dichiarazioni degli imputati e in particolare quelle del Vescovo Di Cerbo, secondo cui Giuseppe Leone era nel pieno delle proprie facoltà mentali e aveva autonomamente scelto di trasferire parte del denaro sul conto corrente personale del Vescovo affinché poi lo stesso ne disponesse in favore della Diocesi di Alife-Caiazzo. Il PM d’udienza, nell’ambito del giudizio abbreviato, aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e disporsi la confisca di quanto in sequestro. Il GIP ha dichiarato Valentino Di Cerbo, Rosa Cristina D’Abrosca e Giovanni Fevola colpevoli del delitto loro ascritto e per l’effetto, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti al solo Di Cerbo, operata la diminuzione per il rito, ha condannato Rosa Cristina D’Abrosca e Giovanni Fevola alla pena di anni due di reclusione e 200,00 euro di multa ciascuno e il vescovo Di Cerbo alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione e 133 euro di multa; tutti e tre al pagamento delle spese processuali con confisca del denaro sequestrato a Rosa Cristina D’Abrosca e Giovanni Fevola.

 

 

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