Almeno 12mila tra medici e infermieri sono positivi: per almeno una settimana non possono lavorare. Detta in altri termini: ogni giorno 1.800 operatori sanitari scoprono di essere infetti e devono lasciare il reparto. Certo, c’è una sorta di turnover: altri si negativizzano e tornano al lavoro. Ma se una quota rientra in servizio perché termina il periodo di isolamento grazie al tampone negativo, un’altra (più alta) deve restare a casa, a causa del tampone positivo. A questi si aggiungono altri 26mila assenti, sempre sommando medici e infermieri: sono sospesi perché hanno rifiutato di vaccinarsi. In sintesi: nella fase più difficile della pandemia, con oltre 20mila ricoverati per Covid, gli ospedali italiani si trovano senza 40.000 camici bianchi. Anche questo è l’effetto dell’alta circolazione di Sars-CoV-2, al di là del timido rallentamento: ieri 180.426 contagiati (tasso di positività sotto il 15 per cento), 308 decessi, altri 349 posti letto occupati da pazienti Covid (meno 2 però in terapia intensiva). Le Regioni intanto lanciano una proposta: eliminiamo il sistema dei colori, che decide le chiusure in base ai ricoveri e all’incidenza dei contagi, visto che ormai è superato dall’uso del Super green pass. Già oggi tra bianco, giallo e arancione non ci sono sostanziali differenze, le chiusure vere e proprie scattano solo con il rosso (che al momento non sembra imminente, visto che c’è solo una Regione in arancione da domani, la Valle d’Aosta). E poi c’è il nodo delle quarantene. Il Lazio, ad esempio, per chi è vaccinato con tre dosi e positivo asintomatico propone che l’isolamento termini dopo cinque giorni, consentendo di tornare al lavoro senza test. Questo avrebbe anche effetti benefici sugli organici decimati dei reparti. In alcuni grandi ospedali siamo nell’ordine del 20 per cento di infermieri fermi, da altre parti va meglio, ma a rendere tutto molto complicato c’è il fatto che il personale sanitario serve anche per fare i tamponi e per gli hub vaccinali. Ma perché non assumiamo più medici e infermieri? Perché non ci sono, semplicemente. In alcuni territori sono stati assunti dall’estero, visto che il serbatoio di chi si è laureato in Italia si è esaurito. Giovanni Migliore, direttore del Policlinico di Bari e presidente di Fiaso, la federazione delle aziende sanitarie italiane: «Tutti gli infermieri che potevamo assumere, li abbiamo assunti. E in 48.000 sono stati stabilizzati. Ma altri non ce ne sono».

Dobbiamo aspettare nuovi laureati in infermieristica, ma così come avvenuto per i medici, il numero chiuso ha causato una carenza di offerta. E un evento straordinario come la pandemia ha fatto saltare tutte le pianificazioni. Ogni giorno si contagiano 1.800 operatori sanitari e in molti ospedali italiani si stanno tagliando prestazioni e, nei casi estremi, chiudono reparti. Al San Camillo di Roma si è fermata “Cardiologia Week”. Precisa l’azienda ospedaliera: «La quarantena di 30 operatori terminerà martedì rendendo possibile, con il loro rientro, la riattivazione della struttura che resterà inattiva per soli due giorni». Ma perché si stanno trovando tanti operatori sanitari positivi visto che tutti hanno ricevuto la terza dose? Con la variante Omicron sappiamo che esiste la possibilità di essere contagiati, per fortuna quasi sempre in modo sintomatico, anche da vaccinati. E gli operatori sanitari ciclicamente sono sottoposti ai tamponi di controllo. Facendo i test, una buona fetta risulta positiva, vista l’altissima circolazione del virus nel Paese. Rispetto alla primissima fase della pandemia, quando i focolai esplodevano, drammaticamente, in corsia e purtroppo anche medici e infermieri hanno avuto molte vittime per Covid nelle loro fila, ora la situazione è differente: medici e infermieri, come tutti i cittadini, in questo periodo vengono contagiati soprattutto al di fuori degli ospedali, magari in famiglia. E anche se sono quasi sempre asintomatici, si devono fermare, con le regole attuali, almeno per sette giorni. Le Regioni hanno proposto una nuova regola – per tutti non solo per i camici bianchi – secondo la quale il positivo asintomatico che ha ricevuto il booster dopo cinque giorni dovrebbe tornare alla vita normale anche senza tampone negativo, ma al momento non è stata ancora accolta. Per non paralizzare la sanità in realtà una scelta è stata fatta: medici e infermieri, contatti di un positivo, magari di un collega con cui si è lavorato fianco a fianco, non vanno in isolamento, non restano a casa, continuano a essere in servizio, ma ogni giorno devono sottoporsi al test antigenico di controllo. «Dico la verità – commenta Migliore – i 12-13mila positivi alla settimana sono un numero alto, ma prevedibile con l’attuale intensità della circolazione del virus. Speriamo che i segnali di frenata di questi giorni possano portarci a un graduale miglioramento della situazione. Ciò che trovo inaccettabile è che almeno il doppio sia assente per avere rifiutato il vaccino».

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