«La situazione nel distretto giudiziario non è migliorata. Questa è la mia settima inaugurazione dell’anno giudiziario, ma sono costretto a ripetere sempre le stesse cose perché le risorse destinate al distretto continuano ad essere del tutto squilibrate». Lo ha affermato questa mattina il presidente della Corte d’Appello di Napoli, Giuseppe de Carolis di Prossedi – Abbiamo un numero di pm 107 solo a Napoli, e i giudici penali in organico circa 240, quando dovrebbero essere almeno il doppio. Non si riesce a star dietro al lavoro degli uffici, e in appello le cose vanno peggio, appena 39. Tutte le sentenze penali di primo grado vanno a ricadere in questo collo d’imbuto. Così i processi continuano a durare tanto e si finisce con lo schiantare contro il muro della prescrizione». «Non è che i reati minori siano poi poco influenti sulla qualità della vita e su chi li subisce crea un inevitabile impatto. Alla Corte d’ Assise abbiamo 200 procedimenti pendenti, una enormità: pensate che Roma e Milano ne contano una trentina e Palermo 40 . E ogni anno ne arrivano altri 100. Ogni anno dal gip arrivano centinaia processi di camorra, che sono complicati e che arrivano con detenuti, per i quali dobbiamo dare la priorità. I numeri li facciamo con la prescrizione, purtroppo. Ogni anno gap enorme tra ciò che arriva e ciò che riusciamo a smaltire» denuncia il presidente della Corte d’Appello. Grosso allarme desta anche il rischio legato alle prescrizioni. De Carolis ha chiarito che il 5-6 per cento dei processi in primo grado va in prescrizione. Ma il numero cresce molto in appello, dove un processo su tre si prescrive.

«Nuovo problema, l’improcedibilità. – sottolinea de Carolis -. Il processo dovrebbe durare due anni dalla data di scadenza dei termini di deposito della sentenza di primo anno, il che restringe ancora più i tempi tecnici che assorbono il lavoro anche dei tribunale più virtuosi, i quali operano nella media dei sei mesi. Abbiamo 57mila processi, e molti di essi diventeranno improcedibili. Nel civile la situazione è anche più complicata: qui non esiste la prescrizione, quindi inevitabilmente i processi vanno fatti e saremo costretti a spostare risorse di magistrati dal penale al civile, con tutte le conseguenze immaginabili. E questa è una sconfitta per tutti». Ha concluso il presidente della Corte. Sulla incidenza dei reati si è soffermato invece il procuratore generale, Luigi Riello. «Anche qui la situazione appare critica. Napoli dovrebbe essere dichiarata caso nazionale rispetto alla sua inicità rispetto a Napoli, Milano, Roma, Palermo, Reggio Calabria. Il numero di clan che si contendono il territorio non ha pari in Italia. A Napoli sono aumentati attentati, omicidi volontari e colposi e stradali, lesioni, violenze sessuali, furti, associazioni per delinquere e di stampo mafioso, reati informatici». «Oggi a preoccuparci però – sottolinea Riello – è l’aspetto legato all’arrivo dei : fondi del Pnrr: dobbiamo atterzzarci bene prima che arrivi la torta ed evitare gli errori fatti dopo il terremoto del 1980. Prepariamoci per tempo a questo assalto della criminalità organizzata ed evitiamo che le competenze al contrasto dei reati si polverizzi. Per questo pensiamo ad una sorta di cabina di regia distrettuale per affrontare queste emergenze, perché la camorra è sempre più preparata ed oggi i cartelli camorristici sul territorio si presentano con figure sempre più imprenditoriali al loro vertice». «Occorre creare un cordone culturale, prima che sanitario, intorno ai camorristi – ha proseguito Riello – E su questo siamo al fianco dell’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che ha rivolto un forte appello quando si è insediato. Stringiamoci intorno a don Mimmo: i mafiosi sono spesso molto religiosi, ma non si può entrare in chiesa tenendo in una mano il rosario e nell’altra la pistola. E la Chiesa ha un ruolo determinante su questo fronte: via dunque i don Abbondio e spazio ai tanti preti coraggio, e ce ne sono tanti, che operano con grande coraggio nella lotta per la legalità».

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