«Sulle intercettazioni, in Italia, c’è un vero e proprio Far West. Siamo addirittura stati messi in mora dall’Ue, nonostante il Copasir abbia denunciato con documenti approvati all’unanimità, per ben tre volte nell’attuale legislatura, le ricadute che questa situazione ha sulla privacy dei cittadini e sulla sicurezza nazionale». Il senatore Adolfo Urso, presidente del comitato che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani, dà manforte all’ex magistrato Carlo Nordio, candidato alle elezioni politiche nelle liste di Fratelli d’Italia, che proprio due giorni fa è intervenuto a Mestre sul tema: «Per uscire dalla crisi si può risparmiare anche su tutti gli sprechi che ci sono nel mondo della giustizia, a cominciare dalle intercettazioni telefoniche ambientali che costano 200 milioni di euro l’anno, con i quali si potrebbero assumere segretari e cancellieri per accelerare il corso dei processi». «Nordio ha scoperchiato un vaso di Pandora – commenta il senatore Urso – In primo luogo esiste un problema sull’uso massiccio di questo strumento da parte dei pm italiani, con il ricorso, spesso, ad intercettazioni a strascico: siamo il Paese più intercettato al mondo, in rapporto alla popolazione». Basti pensare che ogni anno ci sono circa 130mila “bersagli”, di cui 110mila utenze telefoniche che restano sotto intercettazione una media di 57 giorni. Il 12% di questi “bersagli” sono comunicazioni di tipo ambientale, mentre il 3% di tipo telematico (i cosiddetti trojan). «La seconda criticità è legata al fatto che non c’è controllo di alcun tipo sulle tariffe e sulle società a cui vengono affidate le captazioni. Siamo sotto infrazione europea – precisa il presidente del Copasir – perché le Procure si rifiutano di applicare la legge e di consegnare i contratti secretati alla sezione speciale della Corte dei conti istituita a questo scopo».

La Commissione europea, infatti, ha messo in mora l’Italia perché non ha ottemperato a una specifica direttiva del 2011 che assimila i contratti per le intercettazioni a transazioni commerciali. In quanto tali, andrebbero quindi sottoposti a un controllo preventivo e successivo da parte della Corte dei conti; nello specifico, alla Sezione centrale per il controllo dei contratti secretati. Ma, come evidenziato nella relazione trasmessa alle Camere lo scorso 19 agosto sull’attività svolta dal Copasir, «appare ancora eccessivamente esiguo il numero delle Procure della Repubblica che sottopongono alla preposta Sezione della Corte dei conti i contratti relativi alla fornitura di sistemi di intercettazione». «Questo comporta che ci sia una differenza abnorme dei costi, con Procure che spendono mille per un’intercettazione e altre che spendono cento», spiega Urso. Le più “spendaccione” sono quelle di Palermo, Roma, Napoli, Milano e Reggio Calabria. Nel 2019, a fronte di uno stanziamento complessivo di bilancio da 125 milioni e 352 mila euro per le intercettazioni, ne sono stati utilizzati 191 milioni. Per il 2021 e il 2022, invece, lo stanziamento si è leggermente ridotto: a 213,7 milioni di euro l’anno. La riforma Orlando della giustizia ha previsto misure di razionalizzazione in questo settore. Il 18 febbraio 2021 era stato inviato al Parlamento un decreto ministeriale dall’allora capo del dicastero, Alfonso Bonafede, che aveva individuato una sorta di “listino”, con prezzi massimi per ogni tipo di prestazione: 2,40 euro al giorno per un’intercettazione telefonica; 75 euro per un’ambientale; 120 euro per una telematica. Ma il ministro Marta Cartabia ha ritirato questo decreto, spiegando che «armonizzare le tariffe è un elemento problematico nell’interlocuzione con le Procure; il tariffario proposto è stato considerato troppo rigido», si legge nella relazione del Copasir approvata lo scorso 21 ottobre sulla disciplina per l’utilizzo dei contratti secretati, che ha come relatori il senatore M5S Francesco Castiello e il deputato Elio Vito (ex FI). Riguardo invece la direttiva europea che l’Italia non ha rispettato, la Cartabia «sta valutando la richiesta di un’interpretazione ufficiale alla Corte di giustizia dell’Unione europea». Manca, infine, un controllo sulle società a cui le Procure affidano le intercettazioni: non esiste un albo di tali agenzie e spesso alcune hanno i server all’estero. Ciò comporta delle criticità sulla «conservazione e gestione dei dati raccolti», allerta il Copasir. Lo dimostra, per esempio, il caso Exodus, un software usato da diverse Procure che, nel corso del 2019, è stato oggetto di indagine a Napoli. «Se non c’è certezza della distruzione delle intercettazioni non rilevanti, come quelle captate a strascico dai trojan, rischia di azionarsi – conclude Urso – un sistema di ricatto che mina non solo la privacy, ma la sicurezza nazionale».

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