Sulla riforma delle pensioni il governo prende tempo. Sul tavolo, per adesso, c’è soltanto la proroga per un anno di Quota 103, il pensionamento con 41 anni di contributi e 62 di età introdotto dal governo Draghi. Giorgia Meloni ha già fissato le sue priorità per la prossima manovra. E in testa a tutte c’è la riforma del Fisco. Tutte le risorse andranno concentrate sul taglio delle tasse. Mettere mano alle pensioni, inoltre, rischierebbe di irritare l’Europa in un momento in cui la Bce sta per interrompere gli acquisti dei titoli di Stato e c’è in discussione una riforma del Patto di stabilità che introdurrà vincoli sulla spesa corrente (come appunto quella pensionistica). La riforma “Quota 41”, ossia il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, sarà dunque rinviato al 2025. Al centro dei problemi, per palazzo Chigi, c’è la necessità di mettere a punto un meccanismo che consenta uscite anticipate dal lavoro alternative al ritorno della legge Fornero che prevede il pensionamento a 67 anni di età con 41-42 di contributi. La soluzione strutturale, proposta soprattutto dalla Lega, si basa, come detto, sul prepensionamento universale con 41 anni di contributi. Ma per realizzare il progetto, a regime, occorrono 9 miliardi di euro. Così, attualmente, Quota 41 è riservata solo ai lavoratori precoci (in attività prima dei 19 anni di età) e ad alcune categorie di addetti a mansioni gravose. Una soluzione minimal determinata, appunto, dalla modesta quantità di risorse finanziarie a disposizione. Così, per superare lo stallo, con la prossima legge di Bilancio, il governo confermerà per un altro anno Quota 103 finanziando l’operazione con ulteriori tagli al Reddito di Cittadinanza. La discussione su Quota 41, insomma, sarebbe rinviata al 2025.
Per il prossimo anno nulla cambierebbe nella struttura di Quota 103 che, occorre ricordarlo, è uno strumento basato sul sistema delle “quote”, come la ormai vecchia Quota 100. Per chi sceglie questo prepensionamento il governo ha previsto un tetto massimo per l’assegno pensionistico che non potrà essere superiore a 5 volte il valore dell’assegno minimo. Un limite da rispettare fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni con almeno 20 anni di contributi versati). Per chi decide di andare in pensione con questa strada non ci sarà alcuna penalizzazione in merito al criterio di calcolo dell’assegno, ma solo un tetto massimo per il trattamento riconosciuto. In pratica si applicherà il sistema retributivo – assegno calcolato sullo stipendio – sulla anzianità acquisite sino al 31 dicembre 1995 e, poi, il sistema contributivo – assegno calcolato solo sui contributi versati – dal 1° gennaio 1996. Tuttavia, chi decide di entrare in questa finestra, fino a maturazione dei requisiti dell’età per la pensione di vecchiaia non potrà ricevere, come detto, un assegno superiore a 5 volte quello minimo, ossia sopra i 2.870 euro lordi. Quindi, tra i 62 e i 67 anni (età necessaria per la pensione di vecchiaia) chi sceglie Quota 103 dovrà rinunciare a un trattamento superiore a 5 volte l’assegno minimo. Dai 67 anni in poi, invece, riceverà l’assegno che gli spetta secondo la sua specifica situazione contributiva. Occorre a questo proposito ricordare che, attualmente, le pensioni minime ammontano a 525 euro mensili circa, ma che nel 2023, secondo quanto stabilito dalla legge di Bilancio, aumenteranno fino a 574. Per questa ragione, considerando una pensione minima di 574 euro, chi va in pensione prima dei 67 anni di età non potrà ricevere un assegno pensionistico superiore a 2.870 euro. Viceversa, se il parametro è il trattamento minimo del 2022, il tetto sarà a 2.625 euro. Occorre ricordare che, sul versante previdenziale, il governo Draghi si era già mosso sul fronte dei prepensionamenti, accarezzando in particolare l’idea della soluzione “soft”. Vale a dire la messa a punto un meccanismo che consenta il prepensionamento a 63 anni calcolando l’assegno con il metodo contributivo integrale. Per chi avesse aderito, ci sarebbe stato un taglio medio del 3 per cento annuo per 4 anni. E poi, allo scoccare dei 67 anni di età, ci sarebbe il ritorno alla pensione piena. È “l’ipotesi Tridico”. E cioè una soluzione, escogitata dal presidente dell’Inps in due tempi utile a superare, in maniera morbida, lo scoglio del ritorno alle legge Fornero, che rischia di incagliare migliaia di lavoratori creando una disparità rispetto a chi, negli ultimi tre anni è riuscito a raggiungere il prepensionamento.
Mario De Michele