Si conclude con il rinvio a giudizio di tutti gli imputati il primo atto dell’inchiesta avviata tre anni fa dalla Procura della Repubblica di Napoli su presunte irregolarità e reati commessi all’ombra degli uffici della Guardia medica di Procida. Un’inchiesta delicata e complessa, al termine della quale da indagati lo status giuridico di cinque medici diventa ora quello di imputati, sebbene per alcuni di essi alcuni reati siano caduti per l’effetto della prescrizione. La decisione risale ad alcuni giorni fa, quando il giudice per l’udienza preliminare Marcello De Chiara ha accolto le richieste della pubblica accusa disponendo il giudizio nei confronti dei professionisti. Il processo inizierà presso il Tribunale di Napoli il prossimo 17 ottobre davanti al giudice Francesco Pellecchia. Tutto nasce da una denuncia presentata nel 2019 da una collega degli imputati, una dottoressa che – da poco subentrata nei ruoli di servizio della locale Guardia medica procidana, avrebbe scoperto comportamenti omissivi ed assenze ingiustificate sul posto di lavoro da parte di altri medici. L’indagine, in un primo momento coordinata dal sostituto procuratore Catello Maresca, è stata poi ereditata e conclusa dal pm Gianfranco Scarfò, in servizio presso la sezione Reati contro la pubblica amministrazione. Le accuse, a vario titolo, vanno dal falso ideologico, interruzione di un ufficio o di un pubblico servizio, minacce e diffamazione. A essere rinviati a giudizio sono stati Generoso Cibelli, Tommaso Strudel, Francesco Giuseppe D’Orio, Vincenzo Coppola e Romina Lubrano Lavadera. Il gup ha riconosciuto, quale persona offesa, la dottoressa (nonché collega e denunciante) Anna Emanuela Scotto di Perottolo, alla quale – secondo l’iniziale querela – sarebbero state rivolte anche pesanti minacce ed anche tentativi di delegittimazione da parte di alcuni degli imputati. Come sempre va ricordato il diritto alla presunzione d’innocenza di tutti gli imputati. Non è sufficiente né la richiesta di rinvio a giudizio, né lo stesso rinvio al processo, per dimostrare la colpevolezza dei soggetti coinvolti: i quali – in sede processuale – avranno la possibilità di dimostrare gli elementi a supporto della propria estraneità ai fatti. Ma la vicenda ha inevitabilmente scosso le fondamenta del servizio sanitario pubblico nell’isola di Procida.

Il caso – stando all’impostazione accusatoria, che ha convinto anche il giudice per l’udienza preliminare (fatti salvi i reati che il decorrere del tempo ha mandato in prescrizione) avrebbe evidenziato un presunto sistema che sarebbe andato avanti nel generale silenzio e tra qualche complicità imbarazzante sin dal 2015: fino a quando, cioè, a disvelarlo sarebbe stato sarebbe stato l’arrivo negli uffici della Guardia medica locale di una dottoressa subentrata ad un collega. La quale – sempre secondo l’accusa – avrebbe subito chiarito di non avere nessuna intenzione di coprire il presunto malcostume, denunciando tutto in Procura. Una decisione, la sua – si legge in una delle contestazioni dei pm – che le sarebbe costata l’isolamento professionale e persino pesanti minacce. Di qui non soltanto la denuncia alla magistratura inquirente, ma anche alla Asl Napoli 2.

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