La Grecia corre, ancora una volta, ai ripari contro il rischio sempre più tangibile di default e uscita dall’euro. Sotto la pressione stringente di Bce, Unione europea e Fondo monetario internazionale, Atene è pronta a prendere le ennesime nuove misure di austerity,

nella speranza di ottenere la sesta tranche di aiuti da 8 miliardi di euro concordati con la troika che permetteranno al Paese di resistere almeno fino alla fine dell’anno. Il pressing sul governo Papandreou, in realtà mai sopito in tutti questi mesi, ha toccato il suo culmine dopo l’Ecofin della scorsa settimana e dopo le dichiarazioni arrivate oggi dal rappresentante del Fmi in missione in Grecia, Bob Traa, che ha invocato “misure supplementari” per ridurre il deficit. Lo stesso Traa non ha esitato da agitare lo spettro del default, pur di spingere Atene, il cui “elettrocardiogramma assomiglia a quello di un uomo morto”, ad attuare al più presto il piano di privatizzazioni da 50 miliardi di euro, rientrando nei tempi previsti. Più morbida sembra invece la posizione dell’Unione europea che, anziché nuove misure, ha chiesto il rispetto degli impegni già concordati. Pur cercando di mantenere la linea di rigore tracciata finora, l’ultima cosa che l’Ue vorrebbe trovarsi a gestire è infatti proprio il default greco e l’effetto a cascata che il crack di un Paese di Eurolandia avrebbe non solo a livello economico ma anche politico su tutto il vecchio continente. “La disgregazione dell’euro – ha avvertito oggi Angela Merkel senza mezzi termini – porterà alla disgregazione dell’Europa”.

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