di Mario De Michele

Ci risiamo. Un déjà-vu di cui avremmo fatto volentieri a meno. Chi l’avrebbe mai detto che nel rapporto con la magistratura Giorgia Meloni avrebbe fatto peggio di Silvio Berlusconi? Dopo quasi 30 anni dal primo governo guidato dal Cavaliere la destra-centro è ancora qui a guerreggiare contro le “toghe rosse”. Come se il mondo, che intanto è stato stravolto da pandemie, guerre, fame, epocali ondate migratorie e perniciosi cambiamenti climatici, si fosse fermato. Prima timidi affondi con annessa riforma della giustizia (l’ennesima), poi gravissime accuse frontali: “Opposizione giudiziaria”, “Magistratura eversiva”. Ed ecco che la storia si ripete con un vittimismo stantio. Mentre nel Paese, come segnala il Censis, l’80% degli italiani non ha alcuna speranza nel futuro. Mentre il potere d’acquisto delle buste paga va a picco. Mentre l’economica è ferma. Di fronte a un declino che sembra inesorabile la maggioranza risponde con il solito stucchevole canovaccio: “I pm di sinistra vogliono mandare a casa il governo”. Qualcuno ci dica negli ultimi 30 anni quale esecutivo di centrodestra è caduto sotto i colpi dei magistrati. Nessuno. L’unico governo silurato da un’inchiesta giudiziaria è stato il Prodi II. La coalizione di centrosinistra si sgretolò in seguito alle indagini sull’allora Guardasigilli Clemente Mastella e sulla consorte Sandra Lonardo, che finì in manette. Gennaio 2008. Mastella viene iscritto nel registro degli indagati. Il governo si scioglie sotto il peso delle rivelazioni giudiziarie. Secondo l’iniziale impostazione accusatoria, il ministro avrebbe imposto al governatore Antonio Bassolino la nomina di una persona a lui vicina come commissario di una Asl. I pm ipotizzano che Mastella abbia fatto pressioni sul presidente della giunta regionale con la minaccia di far cadere il governo della Regione ritirando due assessori dell’Udeur. Il processo si è chiuso in primo grado a settembre 2017 con una sentenza di assoluzione perché “il fatto non costituisce reato”. Nessuno gridò allo scandalo. A parti invertite il centrodestra avrebbe riempito le piazze, avrebbe urlato al colpo di Stato, avrebbe sciorinato la consueta propaganda anti-magistratura. Ma per una parte dei politici italiani la storia non è maestra di vita. O forse sì. Però all’incontrario. La campagna campale contro le “toghe rosse” è un’arma di distrazione di massa utilizzata a dismisura per mettere la polvere sotto il tappeto. Il Paese non è ripartito. Lo sanno anche quelli al governo. Perciò parlano d’altro. Ma i problemi degli italiani sono ben altro: ceti medi che arrancano, il perimetro della povertà che si allarga. La propaganda della premier Giorgia Meloni e dei suoi alleati non fa più breccia nell’opinione pubblica. È finita, com’era prevedibile, la luna di miele con gli elettori. Il mondo reale chiede il conto delle promesse. La risposta è stata flebile, diafana: una finanziaria per nulla coraggiosa, criticata un po’ da tutti. L’altro nemico “scontato” sono i sindacati, ovviamente il primo bersaglio grosso è la Cgil. Per ovvi motivi non è finito nel mirino Carlo Bonomi, capo di Confindustria: “Una manovra senza visione”. Definirlo “industriale rosso” sarebbe stato un po’ troppo anche per gli organi di informazione accucciati ai piedi dei nuovi potenti di turno. Un altro déjà-vu: l’occupazione militare della Rai fa rimpiangere la lottizzazione della Prima Repubblica. Via tutti i volti noti e non allineati. Risultato? Crollo negli ascolti. Una festa per Forza Italia e Mediaset. Ma la quasi totale omologazione televisiva non sortisce più gli effetti di 30 anni fa. Il mondo è cambiato, appunto. Ci sono i social, fonte primaria di informazione per una grande fetta di popolazione. Tutti i giovani, ad esempio. E proprio a quei “gggiovani” che hanno contribuito a farla eleggere Meloni non parla più. Pensioni, condoni fiscali e bonus una tantum non appassionano una generazione, forse due, che vivono alla giornata. Senza una prospettiva a lungo termine. Come le donne, altro bacino elettorale di Fratelli d’Italia: asili nido non pervenuti. Non aiutano la premier le scelte familistiche. La politica dei cognati ha il fiato corto e segnala la mancanza di fiducia di Giorgia nei confronti della classe dirigente del suo partito. Sono relegate nella sezione cabaret le uscite di Matteo Salvini. Anche la “bestia” è ferita, non a caso si aggrappa allo zero virgola per raggiungere il 10%. Governare e fare propaganda non collimano. Al via quindi la guerra ai magistrati con una controriforma della giustizia servita a pezzettini. Come avvertimenti puntuali: “Non disturbare il manovratore”. Politica ad orologeria.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui